D’altro canto, Arturo, essendo ancora un bambino, non si pone dei dilemmi esistenziali come Mattia. Per lui vivere significa emulare i grandi eroi del passato, andare alla ricerca di avvincenti avventure, gloria e onore, così come i libri lasciatigli dalla madre gli insegnano. Arturo passa i giorni immerso nelle sue letture, tanto da confondere la realtà con la fantasia e l’apparenza. Vede nel padre Wilhelm un modello, una riproduzione in carne ed ossa degli eroi romanzeschi. Le domande riflessive e il linguaggio semplice denotano un personaggio infantile e pieno di aspettative: Arturo crede nella vita, e, nonostante queste aspettative abbiano sempre un brusco riscontro con la realtà, non smette di sognare nel suo futuro, quando sarà libero di partire per nuovi orizzonti. Anguilla, infine, è un uomo soddisfatto della vita che conduce: ha fatto fortuna in America, un mondo che è lontano miglia e miglia dall’unico luogo dove ha posto le sue radici: le campagne e le Langhe. Eppure non può godere al massimo di questa felictà senza colmare i vuoti che giacciono nel suo cuore: vivere, continuare ad andare avanti, non è possibile senza una piena conoscenza di sé, della sua identità e del suo passato. Questo è il significato che Anguilla dà, o meglio vorrebbe dare alla sua vita. L’alternanza tra presente e passato che incombe nella vita del protagonista, il quale narra in prima persona con un linguaggio semplice e scorrevole, è reso perfettamente dai due piani paralleli su cui viaggia l’intera storia: uno è legato al presente, nel quale il protagonista ritrova il suo caro amico Nuto e rivede se stesso da giovane nella figura del piccolo Cinto; attraverso l’analessi, l’autore crea un altro piano temporale legato al passato e ai ricordi che Anguilla conserva degli anni alla Mora e della sua infanzia tra i campi.
Ma come rispondono questi personaggi alla situazione che vivono? Reagiscono, vivono la loro vita o semplicemente si arrendono? Mattia decide senza dubbio di reagire: lascia tutto ciò che ha e, nei panni di Adriano Meis, ricomincia tutto d’accapo, aggrappandosi a delle nozioni personali assolutamente fasulle, a dei soldi guadagnati in un colpo di fortuna e a tanta speranza. Egli agisce come un burattinaio, il quale ha tra le mani i fili della sua esistenza cosicché può inventare il suo passato come meglio gli aggrada e decidere cosa fare del suo futuro. La sua personalità agitata e in pieno al dubbio viene fuori dai monologhi e dalla focalizzazione interna del romanzo, resa perfettamente dalla narrazione in prima persona, e dalle domande aperte che si pone continuamente, quasi lo aiutassero a trovare delle risposte dentro di sé. Comincia così la ricerca di sé stesso che all’inizio sembra essere una fantastica opportunità, ma finisce per diventare una caduta verso l’ignoto, verso il baratro del non essere. Mattia, dunque, è convinto di vivere la propria vita, ma, in realtà, la guarda scorrere lentamente e, addirittura, la ‘’baratta’’ con quella di un altro uomo. Arturo, invece, vive come crede, vagabondando per la sua isola, alla ricerca di svago e divertimento. Gli occhi di un bambino vedono sempre gli aspetti positivi ed evidenti di una vicenda e tale è il suo comportamento. Il fatto che il romanzo venga raccontato da lui stesso in età adulta non influenza il punto di vista del protagonista bambino, benché il narratore intervenga spesso con anticipazioni. Per tutta la sua infanzia, Arturo non vive in prima persona la sua vita, in quanto vive e vorrebbe vivere secondo modelli prescritti: non ha una personalità affermata, come molto spesso accade in età infantile e vede il padre vivere, sebbene attraverso una lente distorta che ne ingrandisce i pregi e annulla i difetti. Anguilla, infine, è un uomo maturo, che vive a pieno la sua vita adulta ma che vede se stesso riflesso in Cinto, il bambino di campagna, figlio dei proprietari della vecchia casa del protagonista. La sua è una continua ricerca verso la verità che lo spinge a cercare di affermarsi come uomo, o meglio come individuo ‘’Anguilla’’ ancora di più.
Le tre vicende hanno comunque degli esiti molto differenti. Mattia torna ad imbattersi in sé stesso. Capisce che potrà girare il mondo, essere chiunque, ma i suoi disagi, le sue insoddisfazioni le porterà sempre con lui perché fanno parte della sua essenza. Alla fine, non solo si arrende e torna al paese d’origine, ma vive in una condizione peggiore della precedente: mentre egli era impegnato a ricercare se stesso, il mondo intorno a lui ha continuato a girare. Mattia non ha più un’identità, non ha più un’essenza per cui valga la pena affermarsi come uomo. Non solo non vive la sua vita, ma è costretto a guardare se stesso morire, visitando la sua stessa tomba. Arturo, d’altro canto, scopre la verità quando ormai ha 18 anni, è un uomo e ha scoperto che l’apparenza inganna, soprattutto se si è un bambino cresciuto da solo, senza un’educazione vera e propria: parte così alla ricerca di sé stesso, decidendo di non fare più ritorno all’isola che potrebbe essere letta come una metafora della sua intera infanzia nell’oscurità dell’ignoto. E’ pronto ad affrontare il mondo vero e non si lascerà prendere in giro dalla vita un’altra volta, perché la vivrà a pieno. Infine, Anguilla và avanti arrendendosi al fatto che non sa chi sia, ma proiettandosi nella figura del bambino ogni volta che ne sente l’esigenza.
Vi é una linea sottile tra ‘’vivere’’ e ‘’guardare gli altri vivere’’ , ma al di lá di essa vi sono abissali differenze: prendere in mano la propria vita, decidere di reagire vuol dire avere una parte di protagonista nel teatro della nostra esistenza, piuttosto che arrendersi alla perenne condizione di spettatore.
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