Sostenibilità ambientale. Mira al mantenimento dell’integrità dell’ecosistema, limitando o rimovendo il flusso degli inquinanti diretto verso l’ambiente naturale, ed evitando che quest’ultimo subisca delle trasformazioni strutturali ed irreversibili per effetto dell’azione umana. Si fa riferimento ai limiti ecologici relativi all’assorbimento di rifiuti ed inquinanti. Tali limiti possono essere ampliati sia razionalizzando i consumi e riducendone l’impatto ambientale, sia usando tecnologie volte ad ottenere prodotti più puliti.
Sostenibilità demografica. Tale dimensione pone l’accento sul concetto ecologico di “capacità di carico” inteso come la quantità di popolazione che può essere sostenuta da un dato territorio in relazione ad un dato modello di vita (consumi, spostamenti, residenze, ecc.).
Sostenibilità sociale. Ci si basa sul concetto di equità sociale intragenerazionale ed intergenerazionale. Nel primo caso si vuole garantire un eguale distribuzione nell’accesso alle risorse naturali e nella possibilità di proteggersi dagli impatti ambientali negativi all’interno della singola comunità. Il secondo aspetto invece caratterizza qualsiasi definizione di sviluppo sostenibile, sottolineando la necessità di soddisfare i bisogni delle generazioni future e di estendere l’orizzonte temporale delle politiche di sviluppo.
Sostenibilità geografica. Mira alla costruzione di una rete di riserve biosferiche per proteggere la diversità biologica, cercando di pervenire ad una configurazione urbano-rurale più bilanciata e ad una migliore distribuzione territoriale degli insediamenti urbani e delle attività economiche.
Sostenibilità culturale. Il cambiamento dovuto al processo di modernizzazione e sviluppo deve avvenire all’interno di una continuità culturale; si ha cioè il bisogno di tradurre il concetto normativo di sviluppo sostenibile in una pluralità di soluzioni locali,specifiche per ciascun ecosistema, ciascuna cultura e anche per ogni singolo luogo.
Si può dare anche una definizione più legata all’aspetto operativo della questione che indica come sostenibile, uno sviluppo la cui domanda di risorse e la cui pressione esercitata attraverso l’emissione di sostanze inquinanti non superi le capacità di assorbimento e riproduttive dell’ambiente. Da tale definizione derivano tre principi guida:
- Il rispetto della capacità e dei tempi di ripristino ambientale delle risorse naturali rinnovabili (costanza del capitale naturale rinnovabile).
- L’utilizzo delle risorse naturali non rinnovabili deve avvenire entro i limiti definiti dal tasso di rinvenimento delle risorse stesse o di altre che svolgano le medesime funzioni.
- Le emissioni di inquinanti e di rifiuti devono avvenire entro i limiti definiti dalla capacità di assorbimento dell’ambiente, evitando che l’ecosistema subisca trasformazioni strutturali e irreversibili per effetto dell’azione umana.
A differenza della crescita economica, che si riferisce esclusivamente all’incremento nel tempo del prodotto nazionale reale, il concetto di sviluppo sostenibile comprende anche finalità sociali, di giustizia redistributiva, di equità intergenerazionale, e mette l’accento non solo sulla disponibilità di fattori produttivi, ma sulla composizione dell’intero capitale totale, costituito dal capitale naturale, da quello umano e da quello prodotto dall’uomo. Il concetto di sostenibilità può quindi assumere varie configurazioni:
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Utilità non decrescente nel tempo
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Consumo non decrescente nel tempo
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Stock totale di capitale non decrescente
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Stock di capitale naturale non decrescente
L’ultima definizione è quella più apprezzata perché mentre nei primi tre casi la stabilità del benessere può essere assicurata anche con sostituzioni fra disponibilità di risorse naturali e beni prodotti, in quest’ultimo caso si pone l’accento sulla necessità di trasmettere alle generazioni future lo stock attuale di risorse naturali. Ogni consumo dovrebbe essere rimpiazzato da altre risorse che svolgano almeno la stessa funzione, quindi: nel caso delle risorse non rinnovabili occorre che ne venga ridotto al minimo il consumo e che vengano trovati dei sostituti, mentre per quanto riguarda le risorse rinnovabili, il loro uso non deve mettere in questione l’utilità futura, deve cioè avvenire entro le capacità di autorigenerazione dell’ambiente. A seconda della possibilità di sostituire le risorse si hanno 2 gradi di sostenibilità, si parla quindi di:
Sviluppo sostenibile debole. Si ha nel caso di perfetta sostituibilità tra le varie componenti del capitale, (naturale e manufatto), senza considerare l’esistenza di servizi vitali svolti dal capitale naturale e non sostituibili da quello manufatto. In base a questa interpretazione è lo stock totale di capitale che non deve diminuire, ogni generazione potrebbe quindi degradare gli ambienti naturali a patto di rimpiazzarli con ricchezza capitale prodotta dall’uomo.
Sviluppo sostenibile forte. Modello che sostiene l’ipotesi di insostituibilità tra le varie forme di capitale, e quindi la necessità che esse, distintamente, siano mantenute costanti o accresciute. Il problema in questo caso è dato dalla misurazione del capitale naturale. Sono stati suggeriti 2 metodi: misura in termini fisici o monetari. Il primo metodo non risulta sempre facilmente realizzabile a causa delle difficoltà di rilevazione degli stock esistenti e della loro qualità, e nell’aggregare elementi eterogenei espressi in unità diverse. Il secondo approccio invece può essere effettuato in vari modi: valore totale costante dello stock di risorse in termini reali; valore unitario dei servizi ottenuti dalle risorse naturali; valore costante dei flussi di risorse che derivano dallo stock di capitale naturale. Purtroppo però, per molte risorse non esistono prezzi o sono imperfetti, e dando all’ambiente un valore diverso dal reale si va incontro ad una distorsione che può generare un maggiore degrado del capitale naturale.
c) Rio de Janeiro 1992: Conferenza delle Nazioni Unite.
La conferenza di Rio detta anche Earth Summit, secondo vertice dell’ONU dopo quello di Stoccolma di vent’anni prima, a cui parteciparono le delegazioni governative di 183 paesi, ha costituito una pietra miliare della diplomazia e del diritto internazionale in cui è stato riaffermato il concetto di sviluppo elaborato dalla commissione Brundtland. La preparazione della conferenza è durata parecchi anni, a causa della necessità di conciliare le istanze differenti di paesi che godevano di condizioni economiche diverse, e che avevano sensibilità al problema a volte molto distanti tra loro. La divergenza principale, che dava maggiori difficoltà di condivisione di interessi, era tra i paesi del nord industrializzato e quelli del sud sottosviluppato o in via di sviluppo. I primi, particolarmente sensibili ai problemi ambientali perché giunti quasi al limite della capacità di carico dei propri ecosistemi, cercavano di indurre i paesi del sud ad avere comportamenti meno distruttivi nei confronti delle risorse ambientali durante il loro percorso di sviluppo. I secondi, davano maggior importanza allo sviluppo e si opponevano alle proposte di assunzione di maggiori responsabilità ambientali che avrebbero potuto essere d’intralcio alle loro politiche di sviluppo, soprattutto in mancanza di misure compensative, quali programmi di assistenza economica da parte dei paesi più ricchi. L’obiettivo della conferenza era quindi in origine quello di definire uno schema di azione per condurre l’insieme dei paesi su un percorso di sviluppo sostenibile definendo compiti e contributi di ciascuno. In pratica si sarebbero dovute stabilire le azioni da attuare nei paesi ricchi per la riconversione in senso ambientalmente compatibile e l’entità degli aiutidestinati ai paesi poveri che avessero accettato di rendere le proprie economie compatibili con l’ambiente. I risultati più importanti sono stati la ratifica della Convenzione sul clima senza tuttavia precisi impegni nella stabilizzazione della anidride carbonica; la Convenzione sulla biodiversità che ha l’obiettivo di prevenire ed eliminare alla fonte le cause del calo della diversità biologica in considerazione di ogni suo valore sociale, scientifico, culturale, economico ed ecologico; la Dichiarazione sulle foreste che non ha il valore di convenzione per l’opposizione dei paesi detentori della maggior parte delle foreste tropicali, che non volevano vincoli troppo rigidi al loro sfruttamento. Altri documenti approvati a Rio sono la Dichiarazione di Rio che in origine doveva essere la Carta della terra ma in seguito venne declassata ad un documento di minor valore politico, composto da 27 principi sull’integrazione ambiente-sviluppo sulla cooperazione fra gli stati, e sui diritti e doveri ambientali di ogni stato; e l’Agenda 21 alla cui costituzione è seguita la nascita della Commission on Sustainable Development, incaricata di controllarne l’attuazione.
Agenda 21
Rappresenta il programma d’azione dei governi per il ventunesimo secolo e costituisce il più importante documento programmatico a cui sinora è pervenuta l’ecodiplomazia internazionale, anche se si tratta solo di intenzioni non vincolanti, cioè non soggette a sanzione in caso di inadempienza. E’ un documento di ampia portata articolato in 4 sezioni, 40 capitoli, 100 aree programmatiche e oltre 3000 raccomandazioni. Ciascuno capitolo è composto da una introduzione che inquadra la situazione attuale del tema in questione e i principali obiettivi che si intendono raggiungere, seguita dall’identificazione delle aree di programma, delle basi d’azione, delle attività da realizzare e degli strumenti di attuazione tra cui le necessità di finanziamento. Gli argomenti trattati sono molteplici: le azioni contro la povertà, il problema demografico, i modelli di consumo, il problema del debito e delle spese militari, i temi sulla conservazione delle foreste e sull’approvvigionamento delle acque, i problemi per l’attuazione di un’agricoltura sostenibile nei paesi in via di sviluppo. Si analizzano quindi sotto una molteplicità di aspetti quasi tutti i temi da affrontare per programmare uno sviluppo sostenibile a livello globale. Il limite maggiore di tale analisi sta nel fatto che, dopo un attento calcolo delle risorse necessarie per realizzare gli obiettivi e dell’indicazione dei metodi di finanziamento, non sia stato possibile collocare le cifre di stanziamento reale e gli obblighi di partecipazione per i governi, a loro volta impegnati a elaborare Agende 21 a livello locale.
Cinque anni dopo la conferenza di Rio, durante l’assemblea generale delle Nazioni Unite (Rio+5), i governi si sono riuniti e hanno esaminato i progressi effettuati nell’attuazione degli impegni di Rio. Considerando come arco di tempo gli anni 90, si sono quindi rilevate diverse tendenze positive riguardo alla crescita economica, ad una maggiore disponibilità dei servizi sanitari, a migliori comunicazioni e trasporti, ai progressi nel campo delle scienze della vita e delle tecnologie connesse e ad una maggiore partecipazione della società civile e sensibilizzazione ai problemi ambientali. Nel complesso tuttavia, tale verifica è stata contraddistinta da grande insoddisfazione: da un lato i paesi in via di sviluppo sono rimasti delusi dalla mancata concretizzazione da parte dei paesi sviluppati degli impegni tesi ad aumentare i livelli di aiuto pubblico allo sviluppo, e dall’assenza di risorse nuove sufficienti a coprire i nuovi costi derivanti dall’impegno contro problemi ambientali di scala mondiale; e dall’altro le tendenze insostenibili prevalenti ai tempi di Rio non sono state invertite, al contrario, le pressioni sull’ambiente e sulla base delle risorse naturali sono in aumento sia al nord che al sud. I problemi che permangono sono molti e tutti estremamente gravi: il continuo sfruttamento oltre limite delle risorse naturali, i rifiuti, le emissioni, la scarsità di fonti energetiche e idriche dovuta anche al continuo aumento della popolazione, il degrado del terreno e la scomparsa delle folreste, la mancata tutela della biodiversità, il continuo divario tra paesi progrediti e non. Ma quali sono le cause della mancata attuazione dell’agenda di Rio? Elenchiamo adesso le principali:
La mancata trasformazione dei modelli di consumo e produzione insostenibili. Tali modelli sono dannosi per l’ambiente e fonte di sprechi ed inefficienze a livello economico, anche a causa della mancata internalizzazione delle esternalità ambientali nelle attività economiche. E’ quindi necessario fornire ai consumatori informazioni pertinenti, concise e facilmente comprensibili, che consentano loro di scegliere con cognizione di causa i prodotti preferibili dal punto di vista ambientale, e collaborare con le imprese per migliorare il rendimento dell’industria in termini ambientali.
Insufficienza delle risorse disponibili. L’Agenda 21 ha affrontato la questione cruciale del finanziamento dello sviluppo sostenibile, tuttavia a ciò non ha fatto seguito un aumento dell’assistenza finanziaria ai paesi in via di sviluppo e in transizione. Ma se da un lato gli aiuti sono diminuiti dal punto di vista quantitativo, dall’altro vi è stato un progresso in termini qualitativi, sia tramite l’inserimento della questione ambientale a livello di dibattito politico, sia tramite un ricorso sistematico alla valutazione ambientale nei programmi d’aiuto multilaterali e bilaterali. Inoltre, l’aumento degli scambi commerciali e dei flussi di capitale privato, compresi gli investimenti diretti dall’estero, verso i paesi in via di sviluppo, ha controbilanciato la riduzione degli aiuti pubblici allo sviluppo ed ha contribuito al trasferimento tecnologico. Tuttavia ciò non elimina la necessità di investimenti pubblici, poiché beni pubblici come il rafforzamento delle capacità istituzionali, la ricerca sui problemi dello sviluppo e la tutela dell’ambiente spesso non beneficiano di investimenti privati.
Risposte insufficienti dalle istituzioni internazionali. Le decisioni della commissione per lo sviluppo sostenibile, il cui compito è quello di orientare il sistema ONU verso lo sviluppo sostenibile e l’integrazione degli aspetti economici, sociali ed ambientali nelle attività dell’organizzazione, non sembrano aver avuto l’effetto desiderato. Una delle cause potrebbe essere la ambiguità e non chiarezza della relazione tra Agenda 21 e le altre iniziative per lo sviluppo dell’ONU, con la necessità quindi di maggior coerenza. L’Agenda 21, inoltre, è completa ma priva di priorità e mancano orientamenti su come obiettivi a volte molto ampi debbano tradursi in termini operativi.
Insufficienze a livello di governo e capacità in ambito nazionale. Fino ad ora circa 70 paesi hanno adottato strategie basate sullo sviluppo sostenibile, tuttavia la loro efficacia non è ancora nota. Inoltre l’accesso alle conoscenze scientifiche e l’adeguamento e l’adozione di tecnologie più sostenibili meno inquinatisi stanno verificando lentamente.
d) Johannesburg 2002: Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo.
Uno dei maggiori risultati di Rio è stato, come abbiamo già detto, la convenzione sui cambiamenti climatici, che ha messo in evidenza il problema dell’innalzamento artificiale delle temperature terrestri e del conseguente sconvolgimento dell’ecosistema; problema che si rivolge da vicino e principalmente al sistema industriale, la maggiore fonte di emissioni dannose per l’ambiente. Ci sono voluti ben sette Vertici Mondiali, prima di Johannesburg, da Berlino nel 1995 a Marrakech nel novembre del 2001, dove (sembra) si sia finalmente raggiunto un punto di incontro, per mettere d'accordo tutte le nazioni industrializzate che, a vario titolo e con diversa intensità, sono responsabili delle emissioni artificiali in atmosfera di quei cosiddetti gas ad effetto serra considerati colpevoli dell'aumento di temperatura del pianeta. Tra il primo Vertice di Berlino e l'ultimo in Marocco c'è stata la Conferenza di Kyoto nel 1997 che, per contenuti e impegni sottoscritti (il famoso Protocollo), rappresenta il punto di partenza sui metodi, i tempi ed i modi per avviare un inversione di tendenza nell'emissione di gas inquinanti nell'atmosfera terrestre. L'obiettivo principale della Conferenza di Kyoto era stato proprio l’aggiornamento della Convenzione quadro sottoscritta a Rio nel 1992 dove non erano stati sottoscritti obiettivi vincolanti. Con il Protocollo di Kyoto ci si impegna sostanzialmente ad una riduzione dei sei principali gas ad effetto serra (Anidride carbonica (CO2), Metano (CH4), Protossido d’azoto (N2O), Idrofluorocarburi (HFCs), Perfluorocarburi (PFCs), Esafluoruro di zolfo (SF6)) entro il 2008-2012 del 5,2 % rispetto ai livelli del 1990:
Fonte: Dipartimento per la pubblica informazione delle Nazioni Unite.
Tra le novità introdotte nel protocollo per favorire il raggiungimento di tali obiettivi di emissione ci sono i cosiddetti “meccanismi” flessibili che per oltre 3 anni hanno determinato un lungo strascico diplomatico e un duro braccio di ferro (il noto contrasto UE-USA ) che ha di fatto bloccato la ratifica dell’intero protocollo. A questo documento hanno aderito 87 Paesi, che assieme contribuiscono per il 37% delle emissioni di CO2 a livello mondiale. Nonostante le insistenze della Commissione per il cambiamento del clima dell'ONU, gli Stati Uniti, che contribuiscono per circa il 23% delle emissioni totali di CO2, non hanno firmato il Protocollo seguiti da Canada, Australia, Giappone e, ovviamente, dai diversi Paesi produttori di petrolio. La Russia, dopo un lungo tergiversare, ha firmato il Protocollo, come pure la Cina, con grande soddisfazione dell'ONU e dei Paesi dell'UE, poiché con l'adesione della Russia, che contribuisce alle emissioni di CO2 con il 18% circa, si raggiunge il 55%, valore sufficiente perché il Protocollo di Kyoto diventi vincolante per tutti i Paesi. Infatti, il 55% si ottiene sommando il 18% al 37%, contributo totale alle emissioni di CO2 dei Paesi firmatari.
Per ridurre le emissioni di CO2 e di altri gas-serra non mancano gli strumenti. Ad esempio, sostituire le centrali a carbone con quelle a gas e chiudere le centrali obsolete, ma soprattutto aumentare la percentuale di energia liberata da fonti rinnovabili (es. energia idroelettrica, eolica, solare, da ondazione, o da maree). L’effetto serra e il protocollo di Kyoto sono stati tra i principali argomenti della conferenza di Johannesburg, che delle tre Conferenze dell'ONU è stata la più importante per il numero di partecipanti e, di conseguenza, dei costi. Hanno partecipato alla Conferenza 65.000 delegati (quasi quattro volte il numero di delegati che parteciparono alla Conferenza di Rio), 14 capi di Stato o di governo, alcune centinaia di Organizzazioni non governative e qualche migliaio di giornalisti. I Paesi che parteciparono erano 189. Tale conferenza si differenzia dalle altre due che l'hanno preceduta (Conferenza di Stoccolma e di Rio de Janeiro) non soltanto per il numero elevato dei partecipanti, ma anche perché a in questo caso è stata data la priorità a quei problemi socio-economici e ambientali che possono essere affrontati e anche risolti da soluzioni di compromesso tra il concetto di globalizzazione e quello di sviluppo sostenibile. Il Piano di Attuazione approvato dal Vertice Mondiale (e adottato nella notte del 3 settembre) è un vero e proprio Accordo Internazionale, composto da 10 capitoli e da 148 paragrafi in cui sono indicati i principali contenuti delle varie intese raggiunte nel corso del summit tenutosi in Sud Africa dal 26 agosto al 4 settembre 2002. Nella parte dedicata ai “Principi” che ispirano il nuovo accordo sullo Sviluppo Sostenibile, si conferma la Dichiarazione di Rio del 1992 che sancisce il richiamo al cosiddetto “ Approccio precauzionale” per tutte le attività che caratterizzano il progresso e l’evoluzione tecnologica dell’uomo; si conferma anche il principio raggiunto nel summit di Rio sulle “Responsabilità comuni ma differenziate tra Paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo”. Rispetto a dieci anni fa, il Vertice di Johannesburg ha sancito un sostanziale punto di rottura con Rio, predisponendo una vero e proprio calendario di scadenze che impegnano i Governi e investono i grandi temi su cui si gioca il futuro dell’umanità. Sono stati presi in considerazione numerosi problemi discussi e non risolti dalla Conferenza di Rio, ma particolare attenzione è stata posta alla disponibilità idrica, alle fonti di energia rinnovabili, alla lotta contro la povertà e ai complessi problemi dell'agricoltura, dall'impiego di biocidi alla competizione tra i prodotti agricoli dei Paesi poveri con quelli dei Paesi sviluppati. Delle proposte per risolvere i problemi ambientali e sociali venivano esaminati anche gli aspetti finanziari e le conseguenze economiche derivanti dall'attuazione delle proposte. Poiché la medesima proposta influenzava in modo diverso le politiche economiche dei diversi gruppi di Paesi, non era facile arrivare a un accordo anche su problemi di indiscussa importanza. Inoltre, poiché la formazione dei gruppi non aveva una base ideologica, ma dipendeva dall'affinità degli interessi economici, le alleanze e le tensioni tra i diversi gruppi variavano a seconda del problema oggetto della discussione. Ad esempio, i rappresentanti del Gruppo 77 (G77), che rappresentava i Paesi in via di sviluppo (tra i quali c'erano anche Paesi produttori di petrolio) erano in accordo con gli USA e in disaccordo con l'UE (Unione Europea di 15 Paesi) nel non prendere impegni precisi sulla riduzione delle emissioni di anidride carbonica (CO2). Numerose erano le tensioni tra USA e UE su molti problemi, ma in accordo sugli aiuti ai Paesi in via di sviluppo mediante progetti di collaborazione internazionale. Si cercherà adesso di dare una breve descrizione dei principali argomenti trattati durante la conferenza. A proposito del tema della povertà, significativa, la conferma anche in questa sede della "Dichiarazione del Millennio" dove si prevede di dimezzare entro il 2015 il numero di persone con un reddito inferiore ad 1 dollaro al giorno. Il Vertice ha dovuto, poi, affrontare il dramma dell’Acqua potabile: agli inizi del terzo millennio un miliardo e mezzo di uomini e donne non ha ancora accesso ad alcuna fonte di acqua potabile, e secondo gli esperti la lotta per la conquista delle fonti di acqua è la prima tra le cause dei conflitti regionali nel mondo. I Governi si dovranno impegnare per dimezzare, entro il 2015, il numero di persone che non hanno accesso all'acqua potabile e purificata, e per questo motivo si dovranno adottare, entro il 2005, i piani per la gestione integrata ed efficiente delle risorse idriche. Molto significativo il capitolo dedicato alle future Politiche energetiche: la Conferenza ha deciso un aumento significativo della quota di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e promozione delle tecnologie a basso impatto ambientale e la progressiva eliminazione dei sussidi ai combustibili fossili che hanno effetti negativi sull'ambiente. Nella stessa sede i paesi dell’Unione Europea hanno annunciato un impegno volontario per aumentare significativamente la loro la quota di energia rinnovabile nella produzione mondiale di energia. I 15 Paesi utilizzano, attualmente, il 6% di energia da fonti rinnovabili, compresa l'energia idroelettrica. Gli articoli dedicati alla questione dei Cambiamenti Climantici confermano gli obiettivi della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici, e in particolare della stabilizzazione, a livelli non pericolosi per l'equilibrio del clima, della concentrazione in atmosfera di anidride carbonica e degli altri gas-serra, con un appello ai paesi che non hanno ancora ratificato il Protocollo di Kyoto, per la ratifica in tempi brevi.. L'UE ha presentato alla Conferenza alcune proposte per ridurre le emissioni di CO2; tra queste anche un protocollo sull'aumento della percentuale di energia da fonti rinnovabili del 14-15% entro il 2005. L'opposizione più decisa a questa proposta è venuta dalla delegazione americana e dal Gruppo 77, che anche se comprendono l'opportunità di ridurre le cause dell'effetto serra, si oppongono a fissare scadenze ed entità per la riduzione di CO2. Occorre infatti, considerare che la situazione internazionale non è stabile né facilmente prevedibile e che lo sviluppo economico degli USA è basato sul petrolio e il carbone e la percentuale di energia prodotta da fonti rinnovabili si aggira attorno all'1%. In questo periodo gli USA inoltre, stanno attraversando una crisi economica e finanziaria di dimensioni non trascurabili e, di conseguenza, non intendono assumere impegni che potrebbero interferire con i loro programmi di sviluppo. Per quanto riguarda il G77 è opportuno tenere presente che a questo gruppo appartengono Paesi molto poveri, ma anche Paesi con un'economia basata sull'estrazione del petrolio (es. Arabia Saudita, Emirati Arabi) che non sono ovviamente favorevoli alla sostituzione del petrolio con fonti alternative di energia. I Paesi poveri, d'altra parte, considerano, sovente, i vincoli posti per la conservazione dell'ambiente remore al loro sviluppo economico. Un altro problema preso in considerazione è quello connesso all’agricoltura, legato alle differenze di prezzo tra i prodotti dei vari paesi. I Paesi sviluppati, infatti, rendono competitivi i loro prodotti agricoli elevando barriere doganali ed elargendo sussidi agli agricoltori dei loro Paesi, riducendo pesantemente la competitività dei prodotti dei Paesi poveri con danni notevoli alla loro agricoltura. Nel novembre dello scorso anno i Paesi sviluppati hanno abbassato le loro barriere doganali, ma tale abbassamento non è stato di tale entità da rendere competitivi i prodotti dei Paesi poveri. USA e UE non intendono abbassare ulteriormente le loro barriere e, di conseguenza, c'è stato un profondo disaccordo tra il G77 e i Paesi sviluppati. Importanti sono stati anche i progressi riguardo ai modelli sostenibili di consumo e produzione, per i quali sono state individuate 3 linee guida:
- Promuovere lo sviluppo di programmi quadro decennali per la realizzazione di iniziative finalizzate alla modificazione dei modelli di consumo e di produzione non sostenibili;
- Individuare politiche, misure e meccanismi finanziari per sostenere i modelli di consumo e produzione sostenibili;
- Promuovere e diffondere procedure di valutazione di impatto ambientale e di "ciclo di vita" dei prodotti, anche al fine di incentivare quelli più favorevoli per l'ambiente.
Il Vertice si è occupato anche del riflesso che l’adozione di determinate Politiche Commerciali può avere sull’ambiente. Per ovviare a talune forme di ostacolo ad una crescita armonica del commercio mondiale, si chiede la riforma del sistema dei sussidi al commercio internazionale, che hanno effetti negativi sull'ambiente, ovvero riduzione delle facilitazioni commerciali per i prodotti che non favoriscono lo sviluppo sostenibile. Tra i meccanismi che sono alla base di ogni azione globale a favore dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile viene ribadita la funzione essenziale della cosiddetta governance che assicura la promozione della trasparenza e dell'efficienza delle forme di governo e della gestione delle risorse, anche attraverso la realizzazione di infrastrutture per l'accesso alla informazione (E-government). Sul fronte dei finanziamenti necessari al raggiungimento degli ambiziosi obiettivi enunciati nell’Accordo si pensa di istituire un fondo mondiale per la solidarietà a carattere volontario; confermare gli obiettivi sull'Aiuto pubblico allo sviluppo (ODA) concordati a Monterrey; ridurre il debito dei paesi in via di sviluppo attraverso la cancellazione o alleggerimento (debt relief e debt cancellation), rafforzando l'iniziativa a favore dei paesi poveri fortemente indebitati (heavily indebtted poor countries - HIPC). Viene confermato, inoltre, l'impegno per il rifinanziamento della Global Environmental Facility, e l’impegno volontario integrativo dell'Unione Europea per un ulteriore finanziamento di 80 milioni di Euro. Ulteriore e sostanziale contributo al successo nel perseguimento dei principi sanciti dall’Accordo di Johannesburg, viene attribuito al sistema delle PARTNERSHIPS, ovvero ai progetti in cooperazione tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo, con la partecipazione di imprese private, istituti finanziari, associazioni non governative, agenzie delle Nazioni Unite. L’Accordo tra le parti prevede l’avvio dei 562 progetti inseriti nella lista accettata dalle Nazioni Unite, e un monitoraggio sulla loro attuazione, con riferimento a 12 aree di intervento. Le risorse finanziarie messe a disposizione per l'avvio dei progetti ammontano a circa 1500 milioni di Euro.
3.L’Unione Europea.
a) Il percorso storico fino al 1992
Il primo segnale di avvio di una politica comunitaria ambientale fu durante il Vertice di Parigi del 1972 dove i Capi di Stato e di Governo sulle orme della Conferenza di Stoccolma, riconobbero che, nel contesto dell'espansione economica e del miglioramento della qualità della vita, all'ambiente doveva essere data particolare attenzione. Fino ad allora la Comunità non aveva avuto una propria politica ambientale, e il trattato di Roma non conteneva alcun cenno alle problematiche ambientali. I motivi della necessità di una politica ambientale a livello comunitario erano vari e ben evidenti e si basavano sui seguenti principi:
- Inquinamento e perturbazioni ambientali non si arrestano alle frontiere, i problemi comunitari richiedono quindi soluzioni comunitarie.
- Politiche ambientali divergenti possono falsare in maniera decisiva anche le politiche economiche.
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Bisogna garantire la salvaguardia dei sistemi naturali, essendo essi indispensabili per la vita e base dell’ulteriore sviluppo economico e del progresso sociale.
- Sul piano politico non è ammissibile che nei vari stati membri si sviluppino condizioni di vita molto dissimili.
Tuttavia è generalmente ammesso che la riforma determinante per l'ambiente è costituita dall'entrata in vigore, nel 1987 dell'Atto unico europeo che ha inserito un titolo specifico sull'ambiente: da allora le misure comunitarie hanno potuto fondarsi su una base giuridica esplicita che definiva gli obiettivi e i principi fondamentali dell'azione della Comunità europea in campo ambientale senza dover cercar giustificazione nelle implicazioni di carattere economico e commerciale. Il Trattato di Maastricht del 1992 infine ha conferito all'ambiente lo status di politica della Comunità, e ha consentito il ricorso alla maggioranza qualificata in sede di Consiglio; inoltre ha formalmente inserito il concetto di sviluppo sostenibile nella legislazione dell'Unione Europea. La politica dell'U.E. deve quindi mirare ad un "elevato livello di tutela" ed allo stesso tempo correggere alla fonte i danni causati all'ambiente, insistendo sull'importanza dell'azione preventiva e basandosi sul principio "chi inquina paga". Un principio molto importante stabilito a Maastricht è il riconoscimento che le esigenze connesse con la tutela dell'ambiente "devono essere integrate nella definizione e nell'attuazione delle altre politiche comunitarie". Ciò significa che i problemi ambientali non devono essere trattati separatamente ma devono integrare anche le politiche settoriali (dell’agricoltura, dell’industria ecc..) per fare in modo che non vengano perseguiti obiettivi diversi e contrastanti tra loro. Questa integrazione è una conditio sine qua non per una crescita sostenibile che rispetti l'ambiente. Nel trattato vengono quindi assegnati al settore ambientale quattro obiettivi:
- salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente;
- protezione della salute umana;
- utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali;
- promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell’ambiente a livello regionale e mondiale.
E viene stabilita una normativa comunitaria cui i singoli stati membri devono adeguarsi, basata su quattro strumenti giuridici:
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i regolamenti, cioè norme immediatamente esecutive per tutta l’Unione;
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le direttive, che vincolano gli stati membri al raggiungimento di taluni obiettivi, ma per la loro applicazione è necessaria la promulgazione da parte dei singoli stati;
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le decisioni, che riguardano un destinatario specifico e sono immediatamente esecutive;
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le raccomandazioni e i pareri, che possono essere rivolti sia agli stati membri, sia ai singoli operatori economici e non sono vincolanti.
Va ricordato comunque che le Istituzioni Europee non sono plenipotenziarie in materia ambientale. Al contrario, ampio spazio é stato lasciato alle azioni di carattere nazionale, concedendo agli Stati Membri la facoltà di adottare misure di tutela ambientale ancora più restrittive (ma non meno restrittive ...) di quelle previste a livello comunitario. Detta normativa è stata ottenuta durante gli anni, fin dal 1972 attraverso i cosiddetti “Programmi d’azione in materia ambientale” che costituiscono indicazioni non vincolanti delle future proposte legislative e delle altre iniziative che la commissione intende varare; finora ne sono stati varati 6, nel prosieguo se ne fa una descrizione dei primi 4 lasciando la trattazione degli ultimi 2 nelle prossime pagine in maniera più approfondita.
Il primo programma (1973-1977) ha inteso raggruppare in tre componenti le azioni da intraprendere prioritariamente. La prima relativa alla riduzione degli inquinamenti e degli inconvenienti ambientali e ad un uso razionale delle risorse teso ad evitare gli sprechi ed un eccessivo consumo di risorse non rinnovabili; la seconda, alle azioni necessarie per migliorare la qualità della vita e le condizioni ambientali; la terza, riferita al ruolo della comunità ed all’azione comune degli stati membri in seno agli organismi internazionali. In tema di riduzione degli inquinamenti sono stati predisposti diversi provvedimenti: la definizione di criteri (quantità ed effetto) per taluni elementi inquinanti; la definizione di obiettivi di qualità volte ad assicurare condizioni ambientali simili in tutta l’area del mercato comune; la fissazione di norme quale strumento operativo della politica, operando secondo criteri di urgenza e gravità, anche attraverso norme provvisorie; il controllo dei dati attraverso scambi tecnici tra reti regionali e nazionali di sorveglianza e controllo; l’armonizzazione delle caratteristiche dei prodotti; le condizioni per l’industria, quali l’identificazione di mezzi tecnici per ridurre gli inquinamenti e il costo economico e sociale dei provvedimenti prospettati; le condizioni per l’energia principalmente riguardo agli inquinamenti dovuti a SO2 e NOX e scarichi termici; la riduzione e il riciclo dei rifiuti. Nel primo programma viene sancito inoltre il principio di “chi inquina paga” e vengono impostati un programma di ricerca, relativo alle varie sezioni di azione e un programma per la diffusione dell’informazione. In tema di migliorie, le azioni specifiche riguardano la salvaguardia dell’ambiente naturale, i problemi posti dalla rarefazione delle risorse, l’urbanistica e l’assetto del territorio, il miglioramento dell’ambiente di lavoro e l’istituzione della Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro.
Il secondo programma (1977-1981), pur assicurando la continuazione del primo, segna un cambiamento di indirizzo, affermandosi così il principio che “prevenire è meglio che disinquinare”. Si manifesta così la necessità di avere precisi strumenti di analisi delle diverse situazioni territoriali investite da problemi ecologici e viene a tal fine varato un programma di sistema informativo e di monitoraggio ambientale, con la costruzione di carte tematiche per i diversi aspetti della problematica ambientale, per meglio leggere le potenzialità e i limiti dei territori interessati ai progetti comunitari. La riduzione degli inquinamenti resta il principale campo d’azione di questa fase, i prodotti inquinanti vengono adesso divisi e trattati in 2 categorie distinte: quelli che inquinano per il fatto di essere usati e quelli che inquinano dopo l’uso in quanto rifiuti.
Il terzo programma ( 1982-1986), comporta una sostanziale evoluzione rispetto agli orientamenti espressi dal primo. Ci si trova infatti adesso, in un momento di accresciuta tensione ambientale e di forte sensibilità dell’opinione pubblica, dovute soprattutto alla constatazione che quanto si è fatto non è sufficiente a far considerare vinta la sfida ambientale. La politica ambientale diventa una vera e propria politica strutturale, il carattere preventivo si rafforza e il nuovo principio ispiratore è di evitare l’insorgenza di problemi ambientali. Si avviano strategie di incentivazione alle industrie che utilizzano tecnologie pulite, che realizzano risparmi in campo energetico e nell’uso di materie prime non rinnovabili, e che operano una riduzione nella produzione dei rifiuti. Due provvedimenti caratterizzano in modo particolare il nuovo corso della politica comunitaria: la sesta modifica alla direttiva sulle sostanze pericolose, che istituisce un sistema di notifica e di valutazione da far precedere alla commercializzazione; la direttiva sulla valutazione di impatto ambientale.
Il quarto programma, ( 1987-1992) rappresenta infine la prosecuzione attuativa dei primi tre, risentendo però dei risultati ottenuti dalla Commissione Brundtland e dalle innovazioni apportate dall’Atto Unico Europeo. Si introduce quindi il concetto di sviluppo sostenibile, attento non solo alla quantità della produzione, ma anche alla qualità delle condizioni ambientali in cui la crescita delle grandezze economiche si realizza. Ciò significa pensare anche alle generazioni future mentre si soddisfano le necessità di quelle attuali e tenere conto dei paesi meno sviluppati mentre si garantisce una migliore qualità della vita ai paesi più ricchi.
Nell’arco di questi anni sono quindi stati affrontati vari settori specifici di azione, si da adesso una breve descrizione di quelli in cui la Comunità è stata più attiva:
Inquinamento idrico: sono state adottate numerose direttive sulla tutela delle acque sotterranee e di superficie, sia dolci che salate. Sono stati inoltre abilitati parametri di qualità delle acque balneabili, potabili, lacustri adatte alla fauna ittica e di quelle destinate alla molluschicoltura. Gli scarichi di sostanze tossiche sono oggetto di severi controlli. L'Unione Europea ha firmato diverse convenzioni che mirano alla riduzione dell'inquinamento nelle vie di navigazione internazionali, quali il Reno, l'Oceano Atlantico Settentrionale, il Mare del Nord ed il Mediterraneo.
Inquinamento atmosferico: pur avendo anche in questo settore adottato già numerose direttive, la Commissione Europea é intenzionata a compiere ulteriori passi avanti soprattutto per quanto riguarda l'inquinamento causato dai grandi impianti di combustione, in particolare dalle centrali elettriche, ed in merito all'emissione di gas di scarico dei veicoli a motore. Il Consiglio sta ancora deliberando sulla proposta di applicare una tassa mista sull'energia e sulle emissioni di carbonio allo scopo di ridurre le emissioni di CO2 e di aumentare il rendimento energetico.
Inquinamento acustico: alcune Direttive fissano i livelli massimi di rumore che possono produrre le automobili, gli autocarri, i motocicli, i trattori e gli aerei supersonici, le falciatrici ed i macchinari di cantiere. Il livello di rumore prodotto dagli elettrodomestici deve essere riportato sugli imballaggi. Attualmente sono in fase di elaborazione alcune proposte riguardanti gli elicotteri e di veicoli su rotaia.
Prodotti chimici: dopo l'incidente di Seveso del 1977, che contaminò con la diossina una vasta zona urbana, sono state introdotte severe misure per la riduzione dei rischi collegati alla produzione ed allo smaltimento delle sostanze chimiche. Le direttive in vigore riguardano, tra l'altro, la classificazione, l'imballaggio e l'etichettatura di sostanze pericolose e la composizione dei detergenti. Dal 1986 esiste un Inventario europeo delle sostanze chimiche esistenti che comprende tutti i prodotti chimici in commercio, i quali sono pertanto soggetti ad una procedura generale di notifica, valutazione e controllo.
Smaltimento dei rifiuti: l'Unione Europea produce più di 2 miliardi di tonnellate di rifiuti all'anno che vengono raccolti, smaltiti e riciclati in base alle disposizioni di numerose direttive. Sono state adottate misure particolari per il controllo del trasporto navale transfrontaliero di rifuti e per settori specifici quali rifiuti prodotti dall'industria di lavorazione dell'ossido di titanio, oppure i rifiuti oleosi, lo scarico in mare dei rifiuti e le scorie radioattive.
Tutela della natura: l'Unione Europea ha sottoscritto la convenzione di Berna sulla conservazione della fauna selvatica ed ha inoltre raccomandato a tutti gi Stati membri di aderire alla convenzione di Parigi del 1950 sulla protezione degli uccelli ed alla Convenzione di ramsar del 1971 sulle zone umide. Il Consiglio dei Ministri ha adottato numerose direttive sulla conservazione degli uccelli selvatici e degli habitat naturali, sul divieto di importare prodotti confezionati con le pelli di cuccioli di foca e sul controllo e la limitazione della sperimetazione scientifica sugli animali. Vengono inoltre finanziati progetti per la conservazione degli habitat naturali.
b) Il quinto programma di azione in materia di ambiente.
Nonostante l'adozione dei primi 4 programmi e della conseguente legislazione, la relazione sullo stato dell'ambiente, pubblicata nel 1992, evidenzia un deterioramento delle condizioni dell'ambiente, principalmente nei seguenti settori:
- inquinamento atmosferico: riduzione delle emissioni di anidride solforosa, di particolati, di piombo e di clorofluorocarburi (CFC), ma rilevante aumento delle emissioni dei gas responsabili dell'effetto serra, quali il biossido di carbonio, il metano, l'ozono, il protossido di azoto (industrializzazione, trasporti);
- inquinamento delle acque: diminuzione dell'inquinamento delle acque interne dovuto a fonti localizzate, ma aumento dell'inquinamento proveniente dalle fonti diffuse (soprattutto nel settore agricolo), minaccia della qualità delle acque, eutrofizzazione delle acque dolci, aumento dell'inquinamento dei mari;
- degrado del terreno: insufficiente gestione dei rifiuti, aumento dei rischi dovuti a determinate attività industriali, aumento dello spargimento dei nitrati e dei fanghi di depurazione in agricoltura, aumento delle colture iperintensive, ricorso abusivo ai fertilizzanti, ai pesticidi e ai diserbanti chimici, acidificazione e desertificazione di alcune regioni;
- conservazione della natura: pericoli per le specie e per il loro habitat naturale, riduzione della biodiversità, deteriorazione dell'ambiente litoraneo, delle aree di montagna e delle foreste (incendi);
- ambiente urbano: perdita generale di godibilità dell'ambiente urbano a causa dell'inquinamento, del rumore, del deterioramento del patrimonio architettonico e dei luoghi pubblici;
- gestione dei rifiuti: aumento dei flussi di rifiuti domestici e industriali, insufficiente riciclo e riutilizzo.
La relazione indica chiaramente che, in mancanza di nuovi orientamenti politici, le minacce all'ambiente continueranno ad aggravarsi. Si richiede quindi l'elaborazione di un nuovo programma d'azione a favore dell'ambiente, basato sui principi dello sviluppo sostenibile, cioè l'elaborazione di una politica e di una strategia intese a garantire la continuità nel tempo dello sviluppo economico e sociale, nel rispetto dell'ambiente, senza compromettere le risorse naturali indispensabili all'attività umana. Varato all'indomani della , il V Programma assume integralmente i principi dello sviluppo sostenibile e si presenta come strumento di attuazione in ambito comunitario dell'Agenda XXI, con un periodo di vigenza dal 1993 al 2000 (verifica intermedia all'inizio del 1996). Il programma adotta una nuova impostazione della politica ambientale comunitaria, fondata sui seguenti principi:
- adozione di un'impostazione globale e volontaristica, nei confronti dei vari operatori e delle attività che hanno un impatto sulle risorse naturali o danneggiano l'ambiente;
- volontà di cambiare le tendenze e le pratiche nocive per l'ambiente, della generazione attuale e di quelle future;
- favorire i cambiamenti di comportamento nella società, grazie all'impegno di tutti gli interessati (poteri pubblici, cittadini, consumatori, imprese, ecc.);
-
determinazione del principio della condivisione delle responsabilità;
- uso di nuovi strumenti ambientali;
-
modifica dell'atteggiamento generale della collettività per quanto riguarda il consumo e il comportamento;
- approfondimento della cooperazione internazionale: sviluppo delle iniziative comunitarie, intensificazione della cooperazione.
Per quanto riguarda gli strumenti, si adotta un sistema misto cioè un tipo di programmazione in cui gli strumenti regolamentativi del tipo command and control sono affiancati e completati da altri strumenti di politica ambientale basati sulla responsabilità e iniziativa volontaria dei soggetti:
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strumenti amministrativi (autorizzazioni, rispetto di standard, di metodologie, di procedure, etc.);
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strumenti economici (tasse ambientali, incentivi, sgravi fiscali, etc.);
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strumenti informativi (etichetta ambientale, liste degli inquinatori, dichiarazioni ambientali delle imprese, etc.), che incidono sull'immagine dei prodotti e delle imprese, oppure incoraggiano determinati comportamenti;
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strumenti negoziali e volontari (accordi di programma fra le amministrazioni pubbliche e le imprese, programmi di compatibilità ambientale volontariamente attivati dalle imprese). Fondamentale innovazione apportata è il regolamento "EMAS" (Environmental Management and Audit Scheme).
strumenti orizzontali di sostegno: miglioramento dell'informazione e delle statistiche ambientali (necessità di nomenclature, norme, criteri e metodi paragonabili), promozione della ricerca scientifica e dello sviluppo tecnologico, miglioramento dell'assetto del territorio, dell'informazione del pubblico (sviluppo di basi dati) e della formazione professionale; meccanismi di sostegno finanziario: programma Life, Fondi strutturali, Fondo di coesione, prestiti della BEI.
Il programma sottolinea l'importanza dell'intervento comunitario in alcuni settori principali. Tale impostazione costituisce il più efficace metodo di affrontare i problemi cui si trova confrontata la Comunità. I settori di intervento prescelti sono:
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l'industria: la Comunità intende intensificare il dialogo con le imprese, promuovere la conclusione di accordi su base volontaria, sviluppare una gestione razionale delle risorse, favorire l'informazione dei consumatori, adottare norme comunitarie per i procedimenti di fabbricazione dei prodotti, evitando le distorsioni di concorrenza, salvaguardando l'integrità del mercato interno e mantenendo la competitività europea;
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il settore energetico: un intervento in tale settore è indispensabile nella prospettiva dello sviluppo sostenibile; è necessario migliorare l'efficacia energetica, ridurre il consumo di combustibili fossili e promuovere le energie rinnovabili;
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i trasporti: il completamento del mercato interno ha aumentato il ricorso ai trasporti. Devono essere prese rapidamente misure intese a migliorare la gestione delle infrastrutture e dei mezzi di trasporto, sviluppare i trasporti pubblici e migliorare la qualità dei carburanti;
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anche l'agricoltura è responsabile del deterioramento dell'ambiente, a causa dell'aumento delle colture intensive, del ricorso ai fertilizzanti e dell'accumulo di eccedenze. È indispensabile una riforma della politica agricola comune e dello sviluppo delle foreste, che tenga conto delle esigenze ambientali;
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il turismo in piena espansione provoca il deterioramento delle zone di montagna e dei litorali. Le misure proposte consistono nel miglioramento della gestione del turismo di massa e della qualità dei servizi turistici, nella promozione di forme alternative di turismo e in campagne di informazione e sensibilizzazione.
c) Strumenti chiave:
I. La Valutazione ambientale ( V.A.S. e V.I.A.)
La prima disposizione legislativa che richiedeva che un processo decisionale pubblico comprendesse al proprio interno una valutazione ambientale è il National Environmental Policy Act statunitense del 1969. In seguito anche la comunità europea emette una direttiva in materia di impatto ambientale (1985), che risulta però più restrittiva della prima, poiché prescritta solo per grandi progetti di intervento. Nasce così la valutazione d’impatto ambientale ( V.I.A. ), come una procedura di valutazione sociale dei progetti, a livello comunitario ma anche nazionale e regionale, che prende in considerazione tutti gli effetti di un intervento su chiunque ricadano. Il Dpcm del 27 dicembre 1988 introduce anche norme tecniche sui contenuti dello studio d’impatto e prevede che esso comprenda:
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un quadro di riferimento programmatico, in cui sono analizzate le relazioni tra l’opera in progetto e la pianificazione territoriale, settoriale e urbanistica vigente;
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un quadro di riferimento progettuale, in cui viene presentato il progetto di massima dell’opera, e in particolare: le caratteristiche tecniche e fisiche del progetto e delle aree occupate; i condizionamenti e i vincoli di cui si è dovuto tener conto; le motivazioni tecniche delle scelte progettuali; le misure di mitigazione adottate per ridurre gli impatti negativi più rilevanti;
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un quadro di riferimento ambientale, che contiene la valutazione d’impatto vera e propria: la descrizione dello stato attuale dei sistemi ambientali interessati, la stima degli effetti, sia di breve che di lungo periodo, e la previsione degli strumenti di gestione e di monitoraggio di tali effetti.
Nell’ultima fase si effettua una analisi dei mutamenti qualitativi e quantitativi che si prevede saranno prodotti dalla realizzazione del progetto; si richiede quindi l’intervento di competenze specialistiche che analizzeranno gli effetti sulle diverse categorie di risorse ambientali utilizzando i metodi, gli strumenti, il linguaggio specifici dei diversi campi scientifici. Infine i risultati confluiranno in un quadro che dovrà giustificare il progetto nel suo insieme, un giudizio globale che prenda in considerazione tutti gli aspetti e faccia un confronto tra le alternative. Se le valutazioni degli impatti sulle diverse componenti ambientali sono, come è normale, espresse in metri diversi, nel giudizio complessivo sarà necessario standardizzare e ponderare gli impatti a seconda della loro rilevanza.
Una valutazione ambientale che invece risente del maggior legame con il concetto di sviluppo sostenibile è la V.A.S. (valutazione ambientale strategica). Mantenere un obiettivo di sviluppo sostenibile significa infatti attuare una politica di programmazione e pianificazione delle scelte dei piani e questo può essere possibile solo sviluppando una procedura di valutazione ambientale strategica; la VAS, infatti, nelle sue fasi comprende tutti i passaggi utili per lo sviluppo degli obiettivi che ci prefiggiamo. Individuati gli indicatori ambientali che meglio identificano il nostro obiettivo di sostenibilità, cioè indicatori che sintetizzino le relazioni tra il processo economico, ambientale e sociale, un passo successivo potrebbe essere quello di valutare le scelte dei piani e cioè verificare come variano gli indicatori al variare dei nuovi scenari (costruzione di una nuova strada, collocazione di una discarica, un nuovo sito industriale ecc.). In definitiva, gli strumenti che abbiamo e che supportano la sostenibilità ambientale (indicatori) individuano e delineano le “capacità di carico”, ossia i limiti qualitativi e quantitativi per i differenti usi delle risorse, mentre gli strumenti urbanistici e di pianificazione, decisi dalle amministrazioni (PTCP, PRG,…) gestiscono queste capacita di carico e le distribuiscono sul territorio. La VAS quindi, come strumento per la sostenibilità deve da un lato verificare la quantità e la qualità delle azioni che hanno come obbiettivo il miglioramento ambientale, dall’altro deve verificare l’interagire dei criteri di sostenibilità nelle politiche di sviluppo (attività produttive, terziario, infrastrutture…). Sono state definite sei fasi della VAS proposte nelle Linee guida secondo disposizioni dell’UE e raccolte in uno schema così riassumibile:
1. Valutazione della situazione ambientale – elaborazione dei dati di riferimento: individuazione e presentazione delle informazioni sullo stato dell’ambiente e delle risorse naturali e sulle interazioni positive o negative tra tali contesti e i principali settori di sviluppo.
2. Obiettivi, finalità e priorità: definizione degli obiettivi che devono soddisfare le condizioni di sostenibilità.
3. Bozza di proposta di sviluppo del piano e individuazione delle alternative: garanzia che gli obiettivi e le priorità ambientali siano integrate a pieno titolo nel progetto del piano.
4. Valutazione ambientale della bozza di proposta in cui si valutano le implicazioni, dal punto di vista ambientale, delle priorità di sviluppo previste dal piano e il grado di integrazione delle problematiche ambientali nei rispettivi obiettivi, finalità,
priorità e indicatori.
5. Indicatori in campo ambientale: individuazione degli indicatori ambientali e di sviluppo sostenibile intesi a quantificare e semplificare la comprensione delle interazioni tra l’ambiente e i problemi chiave del settore.
6. Integrazione dei risultati delle valutazione nella decisione definitiva in merito al piano.
Un raffronto tra VIA e VAS evidenzia numerose complementarità; la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) è una procedura volta a considerare gli effetti che possono manifestarsi nell’ambiente in seguito a determinate iniziative di intervento e trasformazione del territorio; consiste nella raccolta di informazioni relative agli impatti dell’intervento proposto sull’ambiente naturale , sociale ed economico e nella valutazione di ogni aspetto per la formulazione di un parere sulla compatibilità ambientale dell’opera. E’ un processo quindi in cui l’elemento ambiente è considerato solo in termini di valutazione finale per effetto di determinati interventi o opere. La Valutazione Ambientale Strategica (VAS) invece consiste essenzialmente nella messa a punto di una lettura, via via più approfondita, dello stato dell’ambiente, delle strategie di investimento in infrastrutture ambientali, nonché nella definizione di criteri di sostenibilità per i diversi settori di sviluppo. La VAS viene applicata ai piani e ai programmi riguardanti problemi su ampia scala geografica e richiede che le questioni ambientali e quelle legate allo sviluppo sostenibile siano attentamente vagliate fin dal primo stadio della programmazione; ciò per garantire che i risultati e le informazioni ottenuti vadano a vantaggio dei livelli di pianificazione successivi, riducendo così i continui conflitti tra obiettivi economici e quelli di ordine ambientale. In una comparazione con la VIA quest’ultima risulta più adatta per le valutazioni su uno specifico progetto in una localizzazione precisa: l’analisi è quindi puntuale e circoscritta ed è volta alla individuazione, descrizione e giustificazione degli effetti che un determinato progetto, azione od opera avrà sull’ambiente. La VIA è quindi uno strumento di controllo esterno alla progettazione nel senso che viene pronunciata dopo che si è conclusa la fase progettuale; al contrario la VAS ha una doppia valenza, di controllo e di programmazione. Mentre per la VIA esiste un nutrito quadro di riferimento normativo e numerosi casi applicativi, per la VAS non esistono procedure standardizzate ma solo alcune esperienze pilota.
II. Agenzia Europea per l’ambiente.
Un Regolamento CEE del Consiglio del 7 maggio 1990, istituisce l'Agenzia europea dell'ambiente e la rete europea di informazione e di osservazione in materia ambientale. Il fine di quest’organo è di proteggere e migliorare l'ambiente conformemente alle disposizioni stabilite nel trattato e ai programmi di azione della Comunità in materia ambientale nell'ottica di instaurare uno sviluppo sostenibile nella Comunità. Per realizzare tale obiettivo, l'Agenzia deve fornire alla Comunità e agli Stati membri informazioni oggettive, attendibili e comparabili a livello europeo che le permettano di adottare le misure necessarie per proteggere l'ambiente, valutare l'applicazione delle misure ed assicurare una corretta informazione dei cittadini sullo stato dell'ambiente.
L'Agenzia ha le seguenti funzioni:
- registrare, raccogliere, analizzare e diffondere i dati sullo stato dell'ambiente;
- fornire alla Comunità e agli Stati membri le informazioni oggettive necessarie per formulare ed attuare politiche ambientali oculate ed efficaci;
- contribuire al controllo dei provvedimenti concernenti l'ambiente;
- contribuire ad assicurare la comparabilità dei dati a livello europeo;
- stimolare lo sviluppo e l'integrazione delle tecniche di previsione ambientale;
- assicurare un'ampia diffusione di informazioni ambientali attendibili.
I settori prioritari di attività dell'Agenzia sono:
- la qualità dell'aria;
- la qualità dell'acqua;
- lo stato dei suoli, della fauna e della flora;
- l'utilizzazione del suolo e delle risorse naturali;
- la gestione dei rifiuti;
- le emissioni sonore;
- le sostanze chimiche;
- la protezione del litorale e del mare.
L'Agenzia può cooperare allo scambio di informazioni con altri organismi, compresa la rete IMPEL ("Implementation on environment Law", la rete d'informazione degli Stati membri in collaborazione con la Commissione sulla legislazione ambientale) e la rete europea d'informazione e di osservazione che comprende in particolare i principali elementi che compongono le reti nazionali d'informazione nonché le informazioni provenienti dai centri tematici. Gli Stati membri inoltre sono tenuti ad informare l'Agenzia dei principali elementi che compongono le loro reti nazionali d'informazione sull'ambiente.
L’adesione all’Agenzie è aperta anche ai paesi che non sono membri della Comunità europea.
III. Marchio di qualità ecologica (Ecolabel)
L’introduzione del marchio di qualità ecologica come strumento volontario di politica ambientale, avviene con la nascita del quinto programma di azione, precisamente con il regolamento CEE 880/1992 concernente un sistema comunitario di assegnazione di un marchio di qualità ecologica, e viene in seguito riaffermato e riesaminato nel 2000. Con questo strumento si mira a promuovere i prodotti che presentano un minore impatto sull’ambiente certificandone i benefici ambientali raggiunti in termini di prodotto e di packaging e a fornire ai consumatori informazioni e indicazioni precise e scientificamente accertate sui prodotti.
Dal campo di applicazione del regolamento sono esclusi:
- i prodotti alimentari;
- le bevande;
- i prodotti farmaceutici;
- i dispositivi medici
- le sostanze o i preparati classificati come pericolosi
- i prodotti fabbricati con processi suscettibili di nuocere in modo significativo alle persone e/o all'ambiente.
Il marchio di qualità ecologica può essere assegnato ai prodotti disponibili nella Comunità che rispettano determinati requisiti ambientali e criteri. Tali requisiti ambientali sono definiti in funzione di una matrice di valutazione e soddisfano particolari criteri metodologici. Il marchio può essere assegnato a un prodotto che contribuisce significativamente a migliorare aspetti ecologici essenziali secondo criteri che sono definiti per categorie di prodotti e sono basati su:
- le prospettive di penetrazione del prodotto sul mercato;
- la fattibilità degli adattamenti tecnici ed economici necessari;
- il potenziale di miglioramento dell'ambiente
Essi sono stabiliti e riesaminati dal comitato dell'Unione europea per il marchio di qualità ecologica, competente anche per i requisiti in materia di valutazione e verifica legati a questi criteri e sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee. Queste categorie di prodotti devono rispettare le condizioni seguenti:
- rappresentare un volume importante sul mercato interno;
- avere un impatto importante sull'ambiente;
- presentare importanti prospettive di miglioramento dell'ambiente a seguito della scelta dei consumatori;
- una parte importante del volume di vendita deve essere destinata al consumo finale.
Per quanto riguarda la domanda di assegnazione del marchio si adotta la seguente procedura:
-
il fabbricante, importatore, prestatore di servizi, dettagliante o commerciante, presenta una domanda di assegnazione all'organismo competente designato dallo Stato membro nel quale il prodotto è fabbricato, immesso sul mercato per la prima volta o importato da un paese terzo;
- l'organismo competente controlla se il prodotto è conforme ai criteri del marchio di qualità ecologica e decide l'assegnazione del marchio;
- l'organismo competente conclude un contratto tipo con il richiedente relativo alle condizioni di uso del marchio.
Le domande di assegnazione del marchio sono soggette al pagamento di un importo e anche l'uso è subordinato al pagamento di un diritto annuo da parte dell'utilizzatore, e viene riconosciuto dal logo che rappresenta una margherita. La Commissione e gli Stati membri incoraggiano l'uso del marchio di qualità ecologica organizzando campagne di sensibilizzazione e di informazione. Essi assicurano il coordinamento tra il sistema comunitario di marchio di qualità ecologica e i sistemi nazionali esistenti. La forza del marchio di qualità ecologica risiede infatti nella sua dimensione europea. Si tratta di un marchio che, una volta approvato da uno degli Stati membri dell'Unione europea, potrà essere utilizzato negli altri Stati membri. Una sola procedura per l'assegnazione del marchio di qualità ecologica eviterà pertanto alle imprese di seguire costose prassi in ciascuno Stato membro della Comunità in cui esiste un marchio di qualità ecologica.
IV. Regolamento E.M.A.S.
Il Regolamento comunitario n. 1836 del 29 giugno 1993, prevede la possibilità di un'adesione volontaria delle imprese del settore industriale ad un Sistema Comunitario di Ecogestione e Audit ambientale (EMAS). Trattandosi di una norma volontaria il legislatore non pone dei limiti quantitativi o dei vincoli operativi ma delinea le caratteristiche che un Sistema di gestione ambientale (SGA) deve possedere affinché all'impresa venga attribuito un pubblico riconoscimento per il suo impegno nei confronti di una gestione ambientalmente corretta. La logica dell'EMAS è infatti quella dell'attivazione delle imprese verso il miglioramento delle proprie prestazioni ambientali secondo tempi e criteri adeguati e commisurati alle loro esigenze e disponibilità, dettati più da pressioni di natura competitiva e sociale che dalle prescrizioni normative. Conseguentemente, benché il rispetto della conformità legislativa non sia fatto specifico oggetto di verifica nell'ambito della partecipazione dell'azienda all'EMAS, esso deve essere concepito come una precondizione il cui mantenimento è tra i compiti fondamentali del SGA. Un'altra prerogativa dell'EMAS è di riferirsi a siti produttivi e non ad imprese il che deriva dalla necessità di considerare un ambito di applicazione locale, sufficientemente omogeneo, con problematiche ambientali specifiche in riferimento alle quali realizzare concretamente la logica del miglioramento continuo e del dialogo con il pubblico. In base a questo Regolamento una azienda ha la possibilità di dimostrare che, presso un determinato sito, ha instaurato un SGA per tenere sotto controllo tutte quelle attività che hanno un impatto sull'ambiente esterno (emissioni in atmosfera, scarichi in corpi idrici, gestione rifiuti, contaminazioni del suolo, rumore, radiazioni, ecc.) e successivamente ciò le permetterà di essere iscritta in un apposito Registro Europeo. La normativa europea intende stimolare le imprese ad avere una gestione rispettosa dell'ambiente, mediante l'introduzione di politiche e programmi di gestione ambientale, e consentire loro di concepire l'ambiente non più solo come un costo da sopportare ma anche come un mezzo per migliorare la propria immagine e competitività. Il Regolamento inoltre prevede il coinvolgimento del pubblico, mediante informazioni verificate sulle prestazioni ambientali delle aziende. Le attività considerate sono, quelle industriali e altri settori come il turismo, i trasporti, la grande distribuzione commerciale, i servizi pubblici.
Operativamente il sistema prevede sei fasi:
- analisi ambientale iniziale del sito;
- messa a punto di un sistema di protezione ambientale articolato con una politica ambientale per garantire gli standard ed il miglioramento continuo, degli obiettivi da conseguire, un programma per il sito, un audit ovvero una verifica del funzionamento del sistema stesso al fine di individuare le eventuali necessarie azioni correttive;
- stesura di una dichiarazione ambientale;
- convalida della dichiarazione ambientale da parte dei verificatori esterni autorizzati;
- comunicazione all'Organismo nazionale Competente in caso positivo cioè di convalida della dichiarazione;
- registrazione del sito in un apposito Albo.
Per mezzo dell'analisi ambientale iniziale devono essere individuati e documentati tutti gli effetti ambientali rilevanti connessi con l'attività del sito (emissioni in atmosfera, scarichi in acqua, produzione di rifiuti solidi, consumo di risorse naturali, rumore, odore, vibrazioni, impatto visivo, ecc.). Completata l'analisi iniziale, l'azienda ha a disposizione tutti gli elementi necessari per definire la propria politica ambientale e formulare il programma ambientale, i due successivi passi fondamentali dell'EMAS. La politica ambientale è una dichiarazione di principio che sancisce in modo inequivocabile l'impegno dell'azienda a favore della tutela ambientale ed enuncia i principi generali cui tale impegno si ispira. Alla luce dei risultati dell'analisi iniziale, l'azienda dovrà poi introdurre un programma ambientale per agire sugli aspetti ambientali del sito identificati come significativi. Tale programma comprende la descrizione dei piani di azione mediante i quali l'azienda traduce i principi generali della sua politica ambientale in obiettivi specifici, predispone risorse e strumenti operativi adeguati e definisce poteri e responsabilità per il conseguimento di tali obiettivi, pianificando le scadenze secondo le quali essi dovranno essere raggiunti. Per realizzare gli obiettivi che ha stabilito nel programma ambientale, l'azienda deve quindi dotarsi di una struttura organizzativa specifica, il Sistema di gestione ambientale (SGA), che in un certo senso rappresenta il cuore di tutto il processo di adesione all'EMAS. La successiva attività di auditing (verifica) consiste nella valutazione sistematica, documentata, periodica e obbiettiva dell'efficienza complessiva del SGA del sito e della sua capacità di realizzare gli obiettivi definiti dei programmi ambientali. Questo strumento consente alla direzione dell'azienda di ridefinire, qualora ne sia verificata l'opportunità o la necessità, gli obiettivi contenuti nel programma ambientale o determinate caratteristiche del SGA nell'ottica del miglioramento continuo. Le prestazioni ambientali del sito sono poi portate a conoscenza del pubblico attraverso la dichiarazione ambientale, un documento che comprende sia la descrizione delle attività del sito e delle incidenze che esse hanno sull'ambiente, sia il resoconto dei risultati ottenuti dall'azienda nel perseguimento di un migliore efficienza ambientale, nonché l'enunciazione degli obiettivi e dei programmi definiti per il futuro. Tale dichiarazione deve essere poi convalidata da un verificatore ambientale esterno accreditato al fine di richiedere la registrazione del sito all'Organismo nazionale Competente. L'Organismo nazionale Competente procede alla registrazione del sito a livello nazionale e nell'apposito Albo Europeo. Inoltre l'elenco dei siti registrati viene pubblicato annualmente sulla Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea. A conclusione della procedura l'impresa ottiene, per ogni sito sottoposto al sistema, un certificato di partecipazione che si compone di due parti:
- il simbolo grafico del sistema di eco-management e audit:
Fonte: Regolamento Emas, Allegato IV.
- la dichiarazione di partecipazione al sistema (di cui all'art. 10 del Regolamento EMAS) relativa al sito o ai siti sottoposti al sistema.
Nel regolamento comunitario sono quindi previsti 3 principali protagonisti:
- il sito cioè lo stabilimento oggetto di indagine;
- i verificatori ambientali autorizzati;
- un Organismo Competente a livello nazionale.
In questo schema l'unione Europea ha un ruolo di supervisione generale, soprattutto sugli enti abilitati dagli Stati membri ad autorizzare i verificatori, nonché di definire gli standard di qualità da applicare nelle verifiche delle performance ambientali. Le prime esperienze di verifica hanno mostrato come ci possono essere ampi margini di discrezionalità e conseguentemente di differenziazione nell'operato dei verificatori, per questo ci sono state numerose richieste di maggiori specificazioni e chiarimenti dei contenuti del Regolamento. Per quanto riguarda i rapporti con la normativa ISO 14001, a livello applicativo entrambi hanno un percorso comune, anche se si differenziano su alcuni punti, per cui un'organizzazione che ha sviluppato o che intende sviluppare un SGA può valutare in termini strategici la convenienza di: ottenere unicamente la certificazione ambientale ISO 14001; raggiungere direttamente la registrazione EMAS; oppure ottenere la certificazione ambientale per poi arrivare anche alla registrazione EMAS essendo agevole il passaggio dalla prima alla seconda. Entrambi gli strumenti consentono di ottenere vantaggi quali una migliore immagine sul mercato e verso le autorità locali, un maggior valore dell'azienda, l'ottimizzazione nell'uso delle risorse e dell'energia, la possibilità di essere inseriti tra i fornitori di imprese estere, soprattutto tedesche, che richiedono la certificazione ai loro fornitori. Vi sono anche alcune differenze:ad esempio l'EMAS si riferisce al sito produttivo mentre la norma ISO 14000 si applica all'intera organizzazione; l'EMAS richiede la dichiarazione ambientale non prevista dalle norme internazionali dell'ISO; l'EMAS è quindi più utile ai fini del dialogo con il pubblico per l'ottenimento di una legittimazione sociale mentre la certificazione.
Si veda la tabella per maggior chiarezza:
Fonte: Documento sulle certificazioni ambientali. R. Giacomozzi.
V. Programma Life.
E’ un programma comunitario che mira a favorire l'attuazione, l'aggiornamento e l'elaborazione della politica e della legislazione comunitarie in materia ambientale, contribuendo all'integrazione della dimensione ambientale nelle altre politiche e promovendo lo sviluppo del settore. Tale strumento eroga un contributo finanziario ad azioni a favore dell'ambiente nella Comunità e in taluni paesi terzi (paesi rivieraschi del mar Mediterraneo e del mar Baltico, paesi dell'Europa centrale e orientale candidati all'adesione all'Unione europea). Viene applicato per fasi:
- la prima fase, dal 23 luglio 1992 al 31 dicembre 1995, ha ottenuto 400 milioni di euro;
- la seconda fase ha avuto inizio il 1º gennaio 1996 e si è conclusa il 31 dicembre 1999 (con uno stanziamento di 450 milioni di euro);
-
la terza fase ha avuto inizio il 1º gennaio 2000 e terminerà il 31 dicembre 2004 (con uno stanziamento di 640 milioni di euro).
I progetti finanziati da Life devono soddisfare i seguenti criteri:
- essere di interesse comunitario e contribuire agli obiettivi di Life;
- essere presentati da partecipanti affidabili sul piano finanziario e tecnico;
- essere realizzabili in termini di proposte tecniche, di calendario, di bilancio e di rapporto costo-beneficio.
Il programma cofinanzia sia azioni nell'ambito della conservazione della natura (LIFE Natura) che in altri settori ambientali (LIFE Ambiente), nonché specifiche azioni sull'ambiente fuori dall'UE (LIFE Paesi Terzi).
Life-Natura cura progetti finalizzati alla conservazione degli habitat naturali e della fauna e flora selvatica di interesse comunitario. I progetti negli Stati Membri devono mirare alla conservazione di:
- uno (o più) siti naturali proposti da uno Stato Membro come Siti d'Impotanza Comunitaria (SIC).
- uno (o più) siti naturali proposti da uno Stato Membro come Zone di Protezione Speciale.
- uno (o più) specie appartenenti alla flora e fauna menzionate nella Direttiva Habitat e nella Direttiva Uccelli.
Per quanto riguarda le somme finanziate, il sostegno arriva al 50% dei costi eleggibili; eccezionalmente, il contributo concesso può arrivare al 75% dei costi per quelle azioni che riguardano habitat naturali prioritari o specie prioritarie.
LIFE-Ambiente finanzia progetti dimostrativi nel settore della pianificazione e valorizzazione ambientale del territorio, nella gestione delle acque e dei rifiuti, nella riduzione dell'impatto ambientale delle attività economiche e dei prodotti. I progetti devono essere di interesse comunitario e devono favorire l'elaborazione, l'attuazione e l'aggiornamento della politica e della legislazione comunitaria in campo ambientale. Nello specifico, relativamente all'area della "Pianificazione e valorizzazione del territorio" potranno essere finanziati progetti riguardanti il miglioramento dell'ambiente urbano, la qualità dell'aria e la riduzione del rumore, la gestione integrata delle zone costiere. Con riferimento all'area "Gestione delle acque" si prevede la presentazione di progetti sui bacini idrografici, sulla protezione delle acque sotterranee, il trattamento delle acque reflue, la prevenzione e la riduzione delle fonti diffuse e disperse di inquinamento idrico. La "Gestione dei rifiuti" riguarderà progetti sulla riduzione degli imballaggi e la gestione dei rifiuti pericolosi. I progetti dell'area "Riduzione dell'impatto delle attività economiche" potranno riguardare l'impiego di tecnologie pulite, la gestione integrata dell'ambiente, la riduzione dei gas-serra, il turismo sostenibile, mentre, per ciò che riguarda l'"Impatto dei prodotti" si tratta di progetti nel settore dell'ecoprogettazione, dell'ecoefficienza, della finanza ambientale e della diffusione dei marchi di qualità ambientale. La percentuale del sostegno finanziario della comunità può arrivare al 30% per progetti generatori di consistenti entrate, al 50% negli altri casi e al 100% per le misure di accompagnamento.
Life Paesi Terzi si occupa di progetti di assistenza tecnica che contribuiscano allo sviluppo delle capacità e delle strutture amministrative necessarie in campo ambientale e per lo sviluppo dei una politica ambientale e di programmi d'azione in Paesi terzi beneficiari che si affacciano sul Mediterraneo e sul Mar Baltico. Possono ottenere un contributo finanziario fino al 70% del costo totale i progetti di assistenza tecnica e fino al 100% le misure di accompagnamento.
I progetti devono:
- rivestire un interesse per la Comunità;
- favorire lo sviluppo sostenibile;
- apportare soluzioni a gravi problemi ambientali.
VI. Libro Bianco.
Dopo un dibattito orientativo, il 29 gennaio 1997, la Commissione, tenendo conto della necessità di rispondere alla risoluzione del Parlamento europeo del 1994 che chiedeva un'azione da parte della Comunità, ha deciso di preparare un Libro bianco che esaminasse le varie possibilità di definire un regime di responsabilità per danni all'ambiente su scala comunitaria per migliorare l'applicazione dei principi del trattato CE in materia e l'attuazione del diritto ambientale comunitario e garantire un adeguato ripristino dell'ambiente. La responsabilità per danni all'ambiente è finalizzata ad obbligare chi causa danni all’ambiente a pagare per rimediare ai danni causati. La regolamentazione sull'ambiente stabilisce norme e procedure mirate a tutelare l’ambiente, in assenza di responsabilità, l'inosservanza delle norme e delle procedure vigenti può semplicemente determinare sanzioni penali o amministrative. Per contro, introducendo tale responsabilità, i potenziali autori dell'inquinamento rischiano di pagare gli interventi di ripristino o il risarcimento dei danni che hanno causato. Obiettivo è rendere chi inquina responsabile dei danni prodotti. Se gli autori dell'inquinamento devono pagare i danni che provocano, essi ridurranno l’inquinamento fino al punto in cui il costo marginale di riduzione dell'inquinamento supera il risarcimento che eviteranno di pagare. La responsabilità per danni all'ambiente non costituisce un rimedio a tutti i tipi di danni all'ambiente. Per la sua efficacia:
- vi devono essere uno (o più) soggetti identificabili (chi inquina),
- il danno deve essere concreto e quantificabile e
- deve essere accertato un nesso causale tra il danno e il soggetto identificato come suo autore.
Può essere quindi invocata, ad esempio, nei casi in cui il danno derivi da incidenti industriali o da un inquinamento graduale dovuto al rilascio nell'ambiente da fonti identificabili di sostanze o rifiuti pericolosi, non è invece uno strumento adeguato nel caso di inquinamento diffuso e su vasta scala dove sia impossibile stabilire un nesso causale tra le attività di singoli soggetti e gli effetti negativi sull’ambiente come, ad esempio, i cambiamenti climatici determinati dalle emissioni di CO2 e di altre sostanze, la morte delle foreste a causa delle piogge acide e l’inquinamento atmosferico causato dal traffico. Vediamone adesso tramite un grafico il campo d’applicazione:
Fonte: Comunicazione della Commissione Europea. Bruxelles 9.2.2000
Responsabilità oggettiva significa che non si deve stabilire la colpa dell’autore, ma solo il fatto che l’atto (o l’omissione) ha causato il danno. A prima vista la responsabilità per colpa può sembrare economicamente più efficiente della responsabilità oggettiva, dato che gli incentivi ai costi di riduzione non superano i benefici della riduzione di emissioni. I recenti regimi nazionali e internazionali di responsabilità per danni all'ambiente tendono però a fondarsi sul principio della responsabilità oggettiva, sull’assunto che per questa via gli obiettivi ambientali si conseguono meglio. È infatti molto difficile per l'attore dimostrare la colpa del convenuto in processi per responsabilità per danni all'ambiente. L'ambito di applicazione del sistema va considerato da due angolazioni differenti: primo, il tipo di danni che vi rientrano e, secondo, le attività che causano tali danni. Sono considerati due diversi tipi di danni: danno all’ ambiente e danno tradizionale.
Nella prima categoria rientrano:
- Danno alla biodiversità
- Danno sotto forma di contaminazione di siti
La maggior parte degli Stati membri non ha ancora cominciato ad applicare al danno alla biodiversità i loro regimi di responsabilità per danni all'ambiente mentre tutti gli Stati membri hanno adottato leggi o programmi sulla responsabilità per i siti contaminati. Per un approccio coerente è importante includere nel sistema anche il danno tradizionale, come danno alle persone o alle cose ove causato da attività pericolose come definite nel campo di applicazione, in quanto in molti casi il danno tradizionale e il danno all'ambiente derivano da uno stesso evento. Le attività oggetto del sistema per quanto concerne le lesioni alle persone o i danni alle cose e i siti contaminati riguardano principalmente: limiti di scarico o di emissione nell’acqua o nell’aria di sostanze pericolose; le sostanze o i preparati pericolosi; prevenire e controllare i rischi di incidenti o di inquinamento; produzione, manipolazione, lavorazione, recupero, riciclo, riduzione, immagazzinamento, trasporto, anche transfrontaliero e discarica di rifiuti pericolosi e di altro tipo; biotecnologie e trasporto di sostanze pericolose. Alcune attività ancora poco considerate, ad esempio le attività concernenti gli organismi geneticamente modificati (OGM), non sono pericolose di per sé, ma possono in talune circostanze causare danni alla salute o notevoli danni all'ambiente (ad esempio fuga da un impianto di massimo contenimento o conseguenze impreviste di un rilascio deliberato). Per questo motivo si ritiene opportuno che tali attività rientrino nel campo di applicazione di un sistema di responsabilità su scala comunitaria. Elemento altrettanto importante per il raggiungimento degli obiettivi di un sistema di responsabilità per danni all'ambiente è l'assicurabilità. Attualmente la copertura dei rischi di danni all'ambiente infatti, è ancora poco praticata, nonostante i progressi in alcuni settori dei mercati finanziari che si stanno specializzando in materia. È inoltre necessario incrementare le possibilità di accesso alla giustizia nel caso di danni all'ambiente. In tale ottica il sistema di responsabilità comunitario per danni all'ambiente potrebbe contribuire all'applicazione della Convenzione di Århus, la quale contiene disposizioni specifiche sull'accesso alla giustizia che legittimano singoli e associazioni ad agire in giudizio per la difesa di interessi pubblici. Gli Stati membri si avvalgono di strumenti diversi per dare attuazione alle rispettive norme sulla responsabilità per danni all'ambiente, alcuni si affidano in maggior misura al diritto amministrativo o pubblico, altri prevalentemente al diritto civile, tutti utilizzano una combinazione di entrambi. Un sistema comunitario dovrebbe mirare a fissare gli obiettivi e i risultati, lasciando agli Stati membri la scelta delle modalità e degli strumenti per conseguirli. Inoltre, il diritto nazionale non è di fatto in grado di regolamentare le questioni dei danni ambientali transfrontalieri nella Comunità, che potrebbero tra l’altro riguardare corsi d’acqua e habitat spesso travalicanti i confini di due Stati. Pertanto, è necessario un sistema a livello comunitario per evitare soluzioni inadeguate in caso di danni transfrontalieri.
4. Il sesto programma di azione in materia di ambiente.
a) Dal quinto al sesto programma.
Molto è stato fatto nel corso degli ultimi trent'anni per approdare ad un sistema completo di controlli ambientali nell'UE. La valutazione globale del Quinto programma d'azione per l'ambiente, lanciato nel 1992, conclude che in molte aree sono stati compiuti progressi, sia mediante nuove misure ambientali, soprattutto in materia di inquinamento atmosferico ed idrico, sia per il rinnovato impegno verso l'integrazione degli obiettivi ambientali in altre aree politiche. Dalla relazione sullo stato dell'ambiente dell'Agenzia europea per l'ambiente e da altri dati emerge che ciò ha prodotto una serie di importanti miglioramenti, per esempio:
- le emissioni industriali nell'atmosfera di sostanze tossiche quali il piombo e il mercurio sono state significativamente ridotte;
- l'acidificazione di aree boschive e corsi d'acqua, causata dalle emissioni di biossido di zolfo (SO2), è stata fortemente ridotta;
- la depurazione delle acque reflue ha migliorato lo stato di salute di molti laghi e fiumi.
Anche in molte altre aree sono stati compiuti passi avanti e si preparano ulteriori miglioramenti sotto il profilo ambientale indotti dalla legislazione comunitaria. Purtroppo però la Valutazione globale dimostra anche che spesso gli Stati membri tardano ad attuare quanto deciso a livello europeo, cosicché i cittadini e l'ambiente non traggono il dovuto beneficio da queste decisioni. È necessaria da parte degli Stati membri una costante opera di recepimento delle norme comunitarie nel diritto nazionale e di applicazione sul campo. Il Quinto programma di azione per l'ambiente ha anche rinnovato l'approccio nei confronti dei problemi ambientali sul piano politico, sottolineando l'esigenza di integrare gli obiettivi ambientali nelle altre politiche, come ad esempio quella dei trasporti, dell'industria o dell'agricoltura. Nella stessa ottica ha motivato la comunità imprenditoriale, le autorità regionali e locali e ovviamente i cittadini a battersi per un ambiente migliore. A questo fine il Quinto programma ha cercato di ampliare la gamma di strumenti, al di là della legislazione ambientale, per comprendere gli strumenti di mercato, le campagne di sensibilizzazione e la pianificazione territoriale. Questi orientamenti restano di attualità e mantengono il loro carattere prioritario nel programma attuale. La valutazione globale del programma ha concluso che, nonostante gli attuali progressi nell'abbattimento dei livelli di inquinamento in alcune aree, i problemi sussistono e l'ambiente continuerà a deteriorarsi a meno di:
- ulteriori progressi nell'attuazione della legislazione ambientale negli Stati membri;
- una migliore e approfondita integrazione dell'ambiente nelle politiche economiche e sociali che esercitano pressioni sull'ambiente;
- una maggior responsabilizzazione di cittadini e parti interessate nei confronti
- dell'ambiente;
- un rinnovato impulso a tutte le misure volte ad affrontare una serie di problemi ambientali gravi e persistenti, nonché i problemi emergenti.
Sussistono ancora una serie di problemi: tra i più inquietanti vi sono il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità e habitat naturali, l'erosione e degradazione del suolo, i volumi crescenti di rifiuti, l'accumulo di sostanze chimiche nell'ambiente, l'inquinamento acustico e alcuni inquinanti atmosferici ed idrici. Siamo anche confrontati da una serie di tematiche emergenti, come gli inquinanti che alterano il nostro equilibrio ormonale. Stando alle attuali previsioni, se si manterranno inalterate le attuali politiche e tendenze socio-economiche, molti dei fattori di pressione all'origine di questi problemi, come i trasporti, il consumo energetico, il turismo, l'uso del territorio a scopi di infrastruttura, ecc. saranno esacerbati nel prossimo decennio.
Inoltre nel corso dei prossimi dieci anni la Comunità accoglierà al suo interno nuovi paesi e intesserà più stretti legami con altri paesi vicini. Dovrà continuare ad assistere questi paesi nella tutela del loro ambiente, garantendo al tempo stesso che le sue politiche, ad esempio in materia di trasporti ed agricoltura, siano improntate sullo sviluppo sostenibile. Per la Comunità i vantaggi dell'allargamento sono notevoli sul piano ambientale: con l'adesione di nuovi Stati membri, la Comunità arricchirà la propria biodiversità, amplierà l'estensione delle zone naturali intatte e guadagnerà nuove opportunità di migliorare l'ambiente dell'Europa nel suo complesso.
b) Caratteristiche principali e obiettivi.
Questo nuovo programma determina gli obiettivi ambientali per i prossimi 10 anni ed oltre ed illustra le azioni che devono essere intraprese nei prossimi 5-10 anni per conseguirli. Pur concentrandosi sulle azioni e gli impegni che devono essere intrapresi a livello comunitario, esso identifica anche misure e responsabilità che spettano agli organismi nazionali, regionali e locali nonché ai diversi settori economici; queste azioni sono state identificate a fronte della necessità di ricercare il massimo livello possibile di armonizzazione e ravvicinamento delle legislazioni per poter garantire il funzionamento del mercato interno. Si vuole mettere a profitto tutta una serie di strumenti e misure che permettano di influenzare le decisioni operate da imprese, consumatori, cittadini e responsabili delle politiche in altre aree, come accade ad esempio per le decisioni in materia di pianificazione e gestione territoriale, prese a livello locale. Ecco perché questo programma propone cinque indirizzi prioritari di azione strategica, che potranno essere di ausilio nel perseguimento dei nostri obiettivi ambientali:
Migliorare l'attuazione della normativa vigente.
L'attuazione nel diritto nazionale, l'applicazione e la garanzia di applicazione di tutta la normativa vigente costituiscono una priorità strategica per il periodo contemplato dal programma; la Commissione continuerà quindi ad avviare procedimenti di infrazione nei confronti degli Stati membri inadempienti e, ove necessario, ad adire la Corte di giustizia europea per garantire il rispetto degli obblighi che gli Stati stessi hanno assunto adottando la normativa. Il problema è che il sistema ha tempi estremamente lunghi, cosicché per un esito concreto possono volerci molti anni.
Il procedimento legale, però, non è necessariamente l'unico modo per garantire l'osservanza delle norme comunitarie: la trasparenza può essere un potente mezzo per spronare gli Stati membri e le autorità in ritardo nell'attuazione e nell'applicazione pratica della normativa comunitaria, ad esempio perché mette in mostra i casi di attuazioni particolarmente riuscite, che possono fungere da modello esemplare per altri paesi. Per determinati dispositivi e ove possibile in collaborazione con il Parlamento europeo, la Commissione intende appunto perseguire una strategia nella quale gli inadempienti e gli adempienti sono segnalati per nome e lodati o biasimati secondo i casi ('name, fame and shame'); queste informazioni saranno accessibili grazie ad un "tabellone" aggiornato sull'applicazione. Svolge infine un importante ruolo di supporto al processo di applicazione lo scambio di esperienze e di buone prassi per l'attuazione della legislazione comunitaria in seno alla rete delle autorità di attuazione degli Stati membri (IMPEL).
Integrare le problematiche ambientali nelle decisioni prese in seno ad altre politiche.
Si mira ad elaborare strategie e programmi finalizzati ad integrare le tematiche ambientali nelle rispettive aree di interesse. Questo processo va appoggiato mediante un'efficace valutazione ambientale di tutte le nuove proposte mosse dalla Commissione e mediante un'ulteriore opera di definizione di indicatori per misurare i progressi nei settori che sono già molto avanzati in questa direzione.
Collaborare con il mercato per il tramite di imprese e consumatori.
Fino ad oggi l'approccio nei confronti delle imprese è stato fondamentalmente incentrato sulla fissazione di norme ed obiettivi e sul far sì che le aziende li rispettino. A ciò gli Stati membri hanno in misura crescente aggiunto strumenti di mercato, come le "ecotasse" su determinati prodotti, finalizzati a modificare i segnali di prezzo sul mercato a favore di prodotti, processi e servizi più ecologici. Molti Stati membri hanno anche intrapreso riforme fiscali ambientali, che associano ad imposte ambientali nuove o maggiorate una riduzione del carico fiscale sui redditi da lavoro al fine di stimolare l'occupazione. I mercati e la domanda dei consumatori possono essere orientati verso prodotti e servizi ecologicamente superiori ai prodotti concorrenti mediante l'informazione e l'educazione e garantendo che, per quanto possibile, il prezzo dei prodotti incorpori il reale costo ambientale. Ciò spingerà le imprese a reagire con innovazioni ed iniziative manageriali che sproneranno crescita, redditività, competitività ed occupazione; permetterà inoltre ai consumatori di adottare uno stile di vita più ecologico operando scelte informate. Nei rapporti con le imprese si mira a:
- Incoraggiare una più ampia adozione del programma comunitario di eco-gestione e audit (EMAS) e sviluppare misure che incoraggino un maggior numero di imprese a pubblicare relazioni rigorose e certificate da esperti indipendenti in materia ambientale o di sviluppo sostenibile.
- Istituire un programma di assistenza all'osservanza, con specifico ausilio per le PMI.
- Introdurre programmi di ricompensa per le aziende con le migliori prestazioni ambientali.
- Incoraggiare impegni e accordi di autoregolamentazione per conseguire chiari obiettivi ambientali.
- Adottare azioni specifiche, ai sensi di un approccio di politica integrata dei prodotti, per promuovere un'evoluzione verso prodotti e processi più verdi.
Responsabilizzare il privato cittadino e ad aiutarlo a modificare il proprio comportamento.
Le persone, in quanto consumatori, hanno bisogno di informazioni pertinenti e comprensibili sulle credenziali ambientali di un prodotto per poter operare scelte informate a supporto delle iniziative ecologiche dell'industria. Delle stesse informazioni hanno bisogno anche gli addetti agli approvvigionamenti pubblici o privati. La Commissione esaminerà le opzioni per garantire che le imprese forniscano tutte le informazioni necessarie ai consumatori mediante pagine web o altri mezzi di comunicazione. Al fine di influenzare la scelta del consumatore in direzione di prodotti più ecologici e di aiutare l'evoluzione verso approvvigionamenti pubblici verdi, alcuni Stati membri e la Comunità hanno sviluppato programmi che prevedono l'attribuzione di un marchio ecologico ai prodotti. Inoltre sempre più azionisti e consumatori vogliono non solo sapere che una società fornisce prodotti e servizi validi ad un prezzo equo, ma vogliono anche la garanzia che la produzione sia avvenuta in maniera responsabile sotto il profilo ambientale e sociale. La Commissione aiuterà il settore finanziario incoraggiando un riferimento sistematico agli elementi di costo ambientali nelle relazioni finanziarie. Laddove il settore finanziario offre al pubblico fondi di investimento verdi, si può lavorare in direzione di un accordo volontario circa la definizione di "investimento verde".
Una migliore pianificazione e gestione territoriale.
Si tratta di un'ampia gamma di decisioni, solitamente operate a livello locale o regionale, che determinano il carattere e l'intensità dell'uso del territorio e di attività che spesso hanno un notevole impatto sulle condizioni ambientali. Questo impatto può essere diretto, per esempio perché distrugge un habitat o una zona paesaggistica, o indiretto, poiché genera traffico supplementare e quindi contribuisce al congestionamento, all'inquinamento atmosferico e ai gas di serra.
c) Quattro aree prioritarie
Il cambiamento climatico
Le attuali previsioni11 suggeriscono che il cambiamento climatico indurrà un aumento della temperatura tra 1 e 6 gradi centigradi entro il 2100, con conseguenti innalzamenti del livello del mare fino a 90 cm e notevoli modifiche dei modelli climatici, con più frequenti siccità,inondazioni, ondate di freddo e forti tempeste. In tale settore l'obiettivo consiste nella riduzione della concentrazione di gas a effetto serra nell'atmosfera a un livello che non provochi cambiamenti artificiali del clima del pianeta. A breve termine l'Unione europea si propone il traguardo di conseguire gli cioè di ridurre entro il 2008-2012 dell'8% le emissioni dei gas ad effetto serra rispetto ai livelli del 1990. A più lungo termine, cioè entro il 2020, sarebbe necessaria una riduzione globale dell'ordine del 20-40%, grazie ad un accordo internazionale efficace. L'impegno della Comunità per raccogliere le sfide del cambiamento climatico assumerà diversi aspetti:
-
integrare gli obiettivi del cambiamento climatico nelle varie politiche comunitarie e segnatamente nella politica energetica e in quella dei trasporti;
-
ridurre le emissioni dei gas ad effetto serra grazie a misure specifiche per migliorare l'efficienza energetica, sfruttare maggiormente le fonti energetiche rinnovabili, promuovere gli accordi con l'industria e fare economie di energia;
-
sviluppare un regime di scambio dei contingenti di su scala europea;
- potenziare la ricerca nel settore del cambiamento climatico;
- fornire ai cittadini migliori informazioni in materia di cambiamento climatico;
- esaminare le sovvenzioni energetiche e la compatibilità di esse con le sfide al cambiamento climatico;
- preparare la società all'impatto del cambiamento climatico.
Natura e Biodiversità
L'esistenza di sistemi naturali sani ed equilibrati è essenziale per la vita su questo pianeta. La società si affida alla natura perché fornisca le risorse necessarie alla nostra sopravvivenza: aria, acqua, cibo, fibre, farmaci e materiali da costruzione. La natura è apprezzata anche in sé e per sé, in quanto prestatore di servizi, fonte di piacere estetico e di interesse scientifico. Ciò significa che bisogna trovare una risposta alle pressioni esercitate dall'attività umana sulla natura e sulla biodiversità da essa supportata. In tale settore l'obiettivo consiste nel proteggere e restaurare la struttura e il funzionamento dei sistemi naturali, arrestando l'impoverimento della diversità biologica sia nell'Unione europea che su scala mondiale. Le azioni proposte per conseguire tale traguardo sono:
- applicare la legislazione ambientale, principalmente nei settori delle acque e dell'atmosfera;
-
ampliare il campo di applicazione della direttiva ;
- coordinare a livello comunitario gli interventi degli Stati membri in caso di incidenti e catastrofi naturali;
- studiare la protezione degli animali e delle piante dalle radiazioni ionizzanti;
-
tutelare, salvaguardare e ripristinare i paesaggi;
- proteggere il patrimonio boschivo e promuoverne lo sviluppo sostenibile;
- elaborare una strategia comunitaria per la protezione del suolo;
-
tutelare e restaurare l'habitat marino e il litorale ed estendere ad essi la rete ;
- migliorare i controlli, l'etichettatura e la tracciabilità degli OGM;
- integrare la tutela della natura e della biodiversità nella politica commerciale e di cooperazione allo sviluppo;
- elaborare programmi di raccolta di dati sulla tutela della natura e la biodiversità;
- appoggiare le ricerche nel settore della tutela della natura.
Ambiente e salute.
Negli ultimi decenni si è accresciuta la consapevolezza del fatto che la qualità dell'aria, dell'acqua, del suolo e del cibo influenza la qualità della nostra salute e della nostra vita. Si va da un aumento delle allergie, delle malattie respiratorie e dei casi di cancro all'alterazione del sistema ormonale e riproduttivo, fino alla morte prematura. Le cause delle svariate malattie ambientali sono numerose e comprendono gli inquinamenti generati dai trasporti, dall'attività agricola, dai processi industriali, dagli effluenti domestici e dalla gestione dei rifiuti. Il traguardo proposto dalla comunicazione in tale settore è pervenire a una qualità ambientale tale da non dar adito a conseguenze o a rischi significativi per la salute umana. La comunicazione propone di:
- identificare i rischi per la salute umana, e specialmente per i bambini e gli anziani, e legiferare di conseguenza;
- inserire le priorità di ambiente e salute nelle altre politiche e nelle norme sull'aria, le acque, i rifiuti e il suolo;
- potenziare la ricerca nel campo della salute e dell'ambiente;
-
sviluppare un nuovo ;
-
vietare o limitare l'uso dei pesticidi più pericolosi e garantire l'applicazione delle migliori pratiche di uso;
- garantire l'applicazione della legislazione sulle acque;
- garantire l'applicazione delle norme sulla qualità dell'aria e definire una strategia dell'inquinamento atmosferico;
-
adottare ed applicare la
Gestione delle risorse naturali e dei rifiuti.
Le risorse del pianeta, ed in particolare le risorse ambientali e rinnovabili come il suolo, l'acqua, l'aria, il legname, la biodiversità e le risorse ittiche stanno subendo pesanti pressioni nel momento in cui la crescita demografica e gli attuali modelli di sviluppo economico si traducono in un crescente fabbisogno di tali risorse. Sempre più giungono conferme del fatto che potremmo essere sul punto di superare la capacità di carico dell'ambiente su vari fronti: in molte parti del mondo il fabbisogno di acqua dolce è spesso superiore alla velocità di ricarica, mentre molte zone sono colpite da desertificazione, deforestazione e degrado dei suoli che raggiungono proporzioni allarmanti. Il consumo delle risorse non rinnovabili, come i metalli, i minerali e gli idrocarburi, unito alla produzione di rifiuti che ne consegue, determina numerosi impatti sull'ambiente e sulla salute umana. L'obiettivo è garantire che il consumo di risorse rinnovabili e non rinnovabili non superi la capacità di carico dell'ambiente e dissociare dalla crescita economica l'uso delle risorse, migliorando l'efficienza di queste ultime e diminuendo la produzione di rifiuti. Per quanto concerne i rifiuti l'obiettivo specifico è ridurre la quantità finale del 20% entro il 2010 e del 50% entro il 2050. Le azioni da intraprendere sono:
- elaborare una strategia per la gestione sostenibile delle risorse, fissando priorità e riducendo il consumo;
- stabilire un onere fiscale sull'uso delle risorse;
- eliminare le sovvenzioni che incentivano l'uso eccessivo di risorse;
- inserire considerazioni di efficienza delle risorse nella politica integrata dei prodotti, nei programmi di etichettatura ecologica, nei sistemi di valutazione ambientale, ecc.;
- elaborare una strategia per il riciclaggio dei rifiuti;
- migliorare i sistemi vigenti di gestione dei rifiuti ed investire nella prevenzione quantitativa e qualitativa;
- integrare la prevenzione dei rifiuti nella politica integrata dei prodotti e nella strategia comunitaria sulle sostanze chimiche.
Cfr. Per maggiori approfondimenti si veda l’analisi dell’Ecologo Malcevshi (1991) in: A. Segre, E. Dansero, Politiche per l’ambiente. Dalla natura al territorio.UTET 1999.
L’origine del termine si deve al naturalista Linneo nella sua “Classificazione delle specie animali e vegetali”.
Cfr. R. Lewanski Governare l’ambiente.
Cfr. J. McCormick Environmental policy in the European Union
Tale metodo viene ritenuto troppo semplicistico perché ignora le proporzioni quantitative tra le specie viventi ed è stato variamente modificato per tener conto della frequenza delle specie in un ecosistema. Cfr. A. Segre, E. Dansero, Politiche per l’ ambiente. Dalla natura al territorio.
Convenzione sulla biodiversità. Rio de Janeiro 1992
Tale resistenza può essere passiva o attiva, nel caso in cui il sistema ponga in essere o meno dei processi in grado di conservare lo stato iniziale.
Non vi sono confini che delimitino gli effetti dell’inquinamento a un determinato comparto. Esso può trarre origine da un elemento e poi diffondersi attraverso una serie complessa di interazione in tutto l’ambiente.
Cfr. Bertuglia, Occelli.1993
Tale fu storicamente tentata in Gran Bretagna, consentendo ai soggetti danneggiati di rivalersi economicamente nei confronti dei responsabili, ma si rivelò inadeguata nel produrre gli effetti dissuasivi sperati. Cfr. Vogel 1990
La mobilitazione sorge in maniera relativamente spontanea in presenza di una diretta e tangibile minaccia alla qualità ambientale in cui i benefici dell’azione collettiva siano direttamente percepibili. Cfr. Olson 1965
Cfr. G. Panella. Economia e politiche dell’ambiente. Carocci editore - 2003
Sono utili nel caso si tratti di beni che presentano sostituti o di beni superflui.
Hanno senso solo se sono proporzionali alla qualità e quantità.
Si parla di borse per le materie prime secondarie.
Per maggiori approfondimenti sul tema dell’Emission Trading si veda: Il Protocollo di Kyoto firmato da 160 paesi nel 1996.
Per approfondimenti cfr. G. Panella, Economia e politiche per l’ambiente.
Si veda per approfondimenti Malthus 1978.(I modelli catastrofici).
Per approfondimenti sulla divisione dei membri tra i vari paesi si veda: General assembly – twenty seventh session.
Cfr. Devall, Sessions. 1985. Gli estremi nelle ideologie ambientaliste
Sta a significare come descritto nei primi paragrafi quel tipo di approccio difensivo e negativo, circoscritto ad una attività di controllo e riparazione del danno, la cui logica dominante è quella degli interventi a valle, altrimenti definita come end of pipe.
In realtà la sostenibilità demografica può essere vista come una diretta conseguenza della sostenibilità ambientale ed economica.
Si ha una stretta relazione in tal caso con l’obiettivo dell’uguaglianza sociale nella distribuzione del reddito e della ricchezza.
Vi è anche un terzo caso che si basa sul concetto di “equità ambientale internazionale”, che regola alcuni effetti ambientali come l’inquinamento trasfrontaliero, e mira ad avvicinare i paesi in via di sviluppo agli standard di vita occidentali.
La qualità ambientale diventa un fattore, insieme al consumo di beni e servizi, della funzione di utilità e di benessere degli individui. (Pezzey, 1989).
Ci si basa in questa definizione sui modelli neoclassici di crescita ottimale, e risulta restrittiva nel senso che considera il benessere degli individui come ricavato solo dal consumo dei beni e dei servizi prodotti. Vedi Solow.
Si pone l’accento sul mantenimento di opportunità per le generazioni future, permettendo loro di avere la stessa scelta di quelle presenti.
Rispetto alla definizione precedente qui si evidenzia il ruolo del capitale naturale.
Questa concezione si rifà all’idea di Solow in base alla quale la generazione presente non deve a quella futura una determinata quota di capitale, bensì…”The access to a certain standard of living or level of consumption”, indipendentemente dalla forma con cui questo viene conferito.
Tale distinzione tra sviluppo sostenibile debole e forte riprende quella fra approcci tecnocentrici ed ecocentrici. Il modello debole si colloca all’interno del primo approccio in cui le preoccupazioni ambientali sono inserite nelle politiche di sviluppo confrontandole con altri obiettivi socialmente definiti. Il modello forte invece appartiene all’altro estremo secondo il quale le preoccupazioni ambientali costituiscono un vincolo per il raggiungimento di altri obiettivi sociali.
I maggiori problemi ambientali erano dovuti allo stesso sviluppo dissennato, basato sul paradigma economico di crescita illimitata, e tale meccanismo poteva essere replicato anche dai paesi in via di sviluppo.
Si veda ad esempio il problema della deforestazione dovuto al continuo sfruttamento delle foreste pluviali.
Aiuti finanziari, operativi, e tramite il trasferimento di tecnologie.
Non è stata firmata dagli USA, contrari a considerare il patrimonio di diversità biologica come un capitale naturale.
La biodiversità impedisce i cambiamenti climatici, le invasioni dei parassiti, e altri rischi ambientali; assicura una più lunga rendita dell’agricoltura ed è alla base di alcune produzioni industriali e farmaceutiche.
Le altre 2 convenzioni sono infatti giuridicamente vincolanti a differenza di quest’ultima.
Per approfondimenti si veda il testo integrale dell’Agenda 21. Le 4 sezioni sono: Dimensioni economiche e sociali; Conservazione e gestione delle risorse per lo sviluppo; Rafforzamento del ruolo delle forze sociali; Strumenti di attuazione.
Ci si riferisce alla continua esposizione dell’ambiente a sostanze chimiche pericolose, pesticidi, piombo, mercurio.
Due miliardi di persone non dispongono di servizi energetici adeguati ed economicamente accessibili, il legno è la principale fonte energetica per un terzo della popolazione mondiale, e il passaggio a fonti di energia rinnovabili avviene con lentezza; il consumo delle risorse di acqua potabile ha un ritmo più veloce di quello che la natura impiega per rinnovarle, questo anche a causa dell’inquinamento dei mari, laghi e falde acquifere.
Ad esempio un’abitante degli stati uniti consuma nella sua vita fino a 50 volte più risorse rispetto ad un abitante medio della maggior parte dei paesi in via di sviluppo.La continua crescita economica dei primi, da un lato, e l’incremento demografico e il desiderio di un maggior benessere materiali dei secondi, dall’altro, esercitano una pressione crescente sull’ambiente e sulla base delle risorse naturali.
Gli aiuti pubblici allo sviluppo, compreso l’ammortamento del debito, sono scesi dallo 0,33% del PIL dei donatori nel 1992 allo 0,22% nel 1998, anche se da allora è lievemente aumentato.
Si tratta di Emission trading, joint implementation e Sviluppop pulito. Il primo consiste nello scambio di diritti di emissione tra paesi, nel senso che si stabilisce una soglia di emissione per ogni paese, e paesi che non raggiungono tale soglia possono vendere diritti di emissioni a paesi che hanno un livello maggiore delle emissioni. Il secondo prevede una cooperazione all’interno dei paesi sviluppati con l’attuazione di progetti comuni per ottenere la riduzione delle emissioni mediante la diffusione e l’impiego di tecnologie più efficienti. Il terzo richiede ai paesi firmatari un impegno a favore dei paesi in via di sviluppo per la fornitura di tecnologie ad alta efficienza energetica in grado di ridurre le emissioni che altrimenti sarebbero prodotte dall’utilizzazione di tecnologie inefficienti.
Una trentina di anni fa l'ONU per aiutare i Paesi più poveri aveva stabilito che ciascun Paese sviluppato contribuisse con lo 0,7% del suo PIL. Questo contributo si aggira attualmente sullo 0,33% e soltanto tra qualche anno questa percentuale potrà forse aumentare fino allo 0,39%. Gran parte degli aiuti finanziari concessi in questi anni ai Paesi in via di sviluppo erano a fondo perduto e i Paesi beneficati erano tenuti a pagare gli interessi. Purtroppo nella maggior parte dei casi gli aiuti sono stati utilizzati dalle aziende e dai governanti locali e, di conseguenza, non potevano contribuire che in modo insignificante allo sviluppo del Paese beneficato.Valutata l'entità di questo insuccesso, è stato deciso di sostituire l'aiuto finanziario con progetti finalizzati allo sviluppo dei Paesi poveri. Questi progetti internazionali, sviluppati con la collaborazione di imprese multinazionali, dovranno essere chiaramente definiti per quanto riguarda gli scopi, i costi, i risultati attesi e l'identità sia dei finanziatori che degli esecutori del progetto.
Il trattato fissa però come principale obiettivo “il miglioramento costante delle condizioni di vita e di lavoro dei popoli”; principio che inserisce anche se indirettamente la problematica ambientale. In realtà la mancanza di attenzione verso l’ambiente è perfettamente comprensibile dal momento che in quel periodo l’ambiente non rappresentava ancora una questione di policy rilevante.
E’ indispensabile sotto il punto di vista economico armonizzare norme in materia ambientale, poiché è intuitivo come molte di esse falserebbero la libera concorrenza se attuate su base esclusivamente nazionale.
Si veda il paragrafo dedicato allo Sviluppo sostenibile per un maggior approfondimento.
Tale promulgazione sovente è causa di gravi ritardi nell’applicazione della direttiva.
Ad es. piombo, biossido di zolfo, mercurio e cadmio nell’acqua, ossido di azoto, zinco, arsenico, cianuro ecc..
Tra i maggiori casi da considerare vi sono: il tenore di piombo nelle benzine, il piombo nelle stoviglie, zolfo negli oli combustibili, tossicità nei detergenti, impiego di PCB nelle apparecchiature elettriche, composizione di pitture o vernici.
Viene data particolare attenzione al settore nucleare ad a quelle sostanze che in base alla convenzione di Oslo non possono più essere scaricate nel mare e devono quindi essere eliminate sulla terra ferma.
Viene prodotto un grande numero di leggi, di regolamenti e di direttive che cominciano a costituire un quadro di riferimento importante per le legislazioni dei paesi comunitari.
Appartengono a questa categoria i combustibili che contribuiscono all’inquinamento atmosferico, in quanto vengono bruciati e le principali fonti di inquinamento acustico (aerei, auto, macchine edili ecc..).
Si tratterà maggiormente di questo argomento in seguito, durante la trattazione degli strumenti della politica ambientale, dopo aver trattato il quinto programma d’azione.
Da sottolineare l’interesse nella ricerca delle tecnologie pulite: fin dal 1973 infatti la comunità ha un programma di ricerca e sviluppo in materia ambientale, volto a mettere a punto tecniche per ridurre l’inquinamento e la produzione di rifiuti, e l’impatto ambientale delle sostanze inquinanti.Gli strumenti per attuare questo programma sono 3 ma interdipendenti: ricerche su contratto, azioni dirette, azioni concentrate. Importante è anche il progetto denominato NETT (Network for environmental technology transfer) il cui scopo era di promuovere la protezione dell’ambiente per mezzo dello scambio di notizie, informazioni e conoscenze tra le aziende e organizzazioni europee nell’ambito delle tecnologie ambientali.
In questo ambito i principali settori coperti dalla ricerca sono: sicurezza dei reattori nucleari; gestione e deposito delle scorie radioattive; chiusura di impianti nucleari; norme di sicurezza e di controllo in materia di radioattività.
Si richiede una ridistribuzione delle responsabilità ambientali tra i diversi attori sociali con il coinvolgimento attivo nella politica ambientale dei vari soggetti regolati, siano essi cittadini, consumatori o imprese. Vi è il superamento del rapporto autorità controllante/soggetto controllato, in favore di sistemi di controllo alternativi basati, ad esempio, sull'autocontrollo e sulla certificazione.
Si vuole raggiungere una sensibilizzazione del pubblico ai problemi ambientali tramite: accesso più agevole alle informazioni, integrazione del concetto di sviluppo sostenibile nei programmi comunitari di istruzione e formazione, valutazione e divulgazione dei risultati della politica comunitaria;
Ci si riferisce alle cosiddette grandi opere quali: raffinerie e impianti di massificazione e liquefazione del petrolio; centrali termiche e nucleari; impianti di stoccaggio dei rifiuti radioattivi; acciaierie; impianti chimici; impianti di estrazione e trattamento di amianto; dighe di altezza superiore a 10 m.; autostrade, ferrovie per il traffico a grande distanza,aeroporti e porti commerciali marittimi.
La tecnica più semplice di identificazione degli impatti è l’utilizzo delle checklist, cioè elenchi di componenti ambientali, distinti per grandi categorie da prendere in considerazione nella valutazione. Nelle opere lineari sono molto usate le “Carte tematiche” mentre il metodo più diffuso è costituito dalle matrici di interazione azioni/componenti ambientali.
Si deve almeno fare un confronto tra il progetto e l’alternativa zero, cioè il mantenimento della situazione attuale.
Due sono i metodi maggiormente usati: le scale ordinali (in cui gli impatti vengono classificati sulla base della combinazione tra rilevanza e reversibilità) e cardinali ( tramite l’uso di funzioni di trasformazione). Per maggiori approfondimenti cfr. A. Segre, E. Dansero, POLITICHE PER L’AMBIENTE.
Si veda per maggiori approfondimenti gli allegati I, II, e III al regolamento.
La richiesta di assegnazione del marchio va depositata all'Agenzia Nazionale per la Protezione dell'Ambiente, incaricata di sottoporre le richieste al Comitato ad hoc.
La richiesta di assegnazione è soggetta al pagamento di 500 euro indipendentemente dal risultato, per coprire le spese amministrative. Quando il marchio viene approvato ed assegnato, l'impresa pagherà un diritto di utilizzazione annuale del marchio pari allo 0,15% del volume delle vendite del prodotto all'interno della Comunità europea.
Tale argomento verrà trattato in maniera più approfondita nel capitolo 4, con riferimento anche alle norme internazionali ISO 14001.
L'adesione all'EMAS è quindi più impegnativa e vincolante per le imprese rispetto alla certificazione ISO 14001. Infatti attraverso la dichiarazione ambientale vengono presi verso il pubblico dei precisi impegni che devono essere rigidamente rispettati nelle scadenze e nel contenuto.
Vengono assegnati rispettivamente per il 47% a LIFE-Ambiente, per il 47% a LIFE-Natura e per il 6% a LIFE-Paesi terzi.
La decisione della Commissione è stata preceduta da un Libro verde della Commissione nel 1993, un'audizione pubblica organizzata dal Parlamento europeo e dalla Commissione nello stesso anno, e infine una risoluzione del Parlamento che chiedeva una direttiva CE e un parere del Comitato economico e sociale nel 1994.
Per ragioni di certezza del diritto e di legittime aspettative, il sistema comunitario dovrebbe funzionare soltanto prospetticamente. Il danno accertato dopo l'entrata in vigore del sistema CE vi rientrerebbe, tranne se l'atto o l'omissione che hanno provocato il danno sono avvenuti prima della sua entrata in vigore. Spetterebbe agli Stati membri affrontare i casi di inquinamento pregresso, ad esempio istituendo meccanismi di finanziamento per i siti già contaminati e i danni alla biodiversità.
L'approvvigionamento pubblico costituisce circa il 14% della domanda sul mercato e i "purchasers" delle imprese e degli organismi governativi e non governativi possono contribuire a "rinverdire" il mercato adottando tra i criteri di acquisto anche quello ambientale.
Un imminente Libro verde sui trasporti urbani analizzerà le buone prassi e opererà un'analisi comparata nell'ottica di un trasporto più pulito grazie alla razionalizzazione dell'uso delle autovetture e alla promozione del trasporto pubblico.
In questo contesto ha anche lanciato il programma europeo per il cambiamento climatico (ECCP). I risultati dell'ECCP daranno fondamento a proposte politiche concrete nei settori dell'energia, dei trasporti, dell'industria e dell'agricoltura e di un regime interno UE di scambi di emissioni.
L'industria deve puntare ad una maggiore efficienza energetica, prefiggendosi almeno l'aumento annuale dell'1% previsto nel piano di azione dell'Unione europea sull'efficienza energetica;
Libro verde sullo scambio dei diritti di emissione di gas ad effetto serra all'interno dell'Unione europea, COM (2000) 87 def.
Direttiva del Consiglio 96/82/CE sul controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose.
L'"European Landscape Convention", adottata dalla commissione ministeriale del Consiglio d'Europa il
19 luglio 2000, è stata firmata il 20 ottobre 2000 da 18 paesi nel corso di una riunione ministeriale a Firenze.
Consiste nell’identificazione delle aree naturali e degli ecosistemi più rappresentativi, che necessitano di tutela e gestione;
Da sottolineare l’istituzione del nuovo registro europeo delle emissioni inquinanti (EPER) previsto dalla direttiva sulla prevenzione e riduzione integrata dell'inquinamento che sarà estremamente utile nel fornire informazioni ambientali accessibili e confrontabili in materia di emissioni di inquinanti da fonti industriali.
Strategia tematica comunitaria sull'uso sostenibile dei pesticidi. Tra i probabili componenti di questa:
– minimizzazione dei rischi derivanti dall'uso di pesticidi, che dipendono in primo luogo dalla tossicità delle sostanze, e verifica dei progressi;
– miglior controllo dell'uso e della distribuzione degli anticrittogamici;
– sostituzione dei principi attivi più pericolosi con principi attivi più sicuri, comprese le alternative non chimiche;
– sensibilizzazione e informazione degli utilizzatori;
– promozione dell'adozione di tecniche agricole ad impiego basso o nullo di anticrittogamici e dell'uso di tecniche e di lotta biologica integrata (IPM);
– promozione di regimi fiscali che disincentivino l'uso degli antiparassitari più pericolosi, come un'imposta sui pesticidi;
– subordinare l'erogazione dei fondi di sviluppo rurale all'adozione del codice di buone pratiche sull'uso dei pesticidi.
– Ratifica della Convenzione di Rotterdam
– Modifica del regolamento comunitario n. 2455/92 relativo alle esportazioni e
importazioni comunitarie di taluni prodotti chimici pericolosi
– Sviluppo e completa attuazione dei programmi comunitari volti a migliorare la gestione delle sostanze chimiche ed anticrittogamiche nei paesi in via di sviluppo e candidati all'adesione, anche per l'eliminazione delle giacenze di antiparassitari obsoleti.
– Supporto alle iniziative di ricerca mirate alla riduzione e all'uso sostenibile dei pesticidi.